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mercoledì 28 luglio 2021

La favola del nuovo giorno

 


Il galletto bianco lanciò il suo sonoro chicchirichì nell’aria del mattino, non ancora riscaldata dal sole nascosto dietro le colline. La valle amplificò il suo richiamo facendolo arrivare sino alla collina situata di fronte, dove in attesa e in ascolto c’era il galletto verde, il quale a sua volta lo rilanciò, espandendolo in tutta la vallata. Il chicchirichì fu dunque ripreso da un   galletto amburghese:




«Chicchirichì! È nato! Eccolo qui!»

Una chioccia del pollaio, ancora appisolata sul pagliericcio a covare, sollevò la sua testolina bianca appena crestata dicendo:

«Chi co cocco coccodè!! È forse, forse nato un re?»

La domanda, trasportata dalla vasta eco, percorse l’intera vallata posata beatamente sulle ali della brezza gentile e arrivando infine al paese più vicino.

«Din don da!» risuonarono le campane «Accorrete tutti din! È nato don! Eccolo qua dan! Din don dan!»

A quello scampanellare vivace, un cinguettio fitto fitto si propagò tra gli innumerevoli nidi sugli alberi ricchi di vita, del boschetto sottostante. Ognuna di quelle variopinte specie di volatili, chinava il capo teneramente sui propri piccoli, domandandosi quale dei suoi pulcini avesse suscitato con la sua nascita, tanto clamoroso interesse.

                                                               

«Cip cip cip! Chissà che il principino neonato non sia proprio qui!»

Persino le mucche alzarono i loro richiami e, con profondi muggiti, espansero nell’aria la loro domanda:

«Muuu!! Muuuu! Mah! Chissà chi lo sa!»

«Sgrunf!  Sgronf! Ronf! Io non lo so!» rispose un maialino.

«Cra cra cra! Il galletto bianco lo sa!» fece eco una delle nere cornacchie, con aria da saputella, zampettando da una parte all’altra della verde vallata.

Insomma, la domanda volò per parecchio tempo, trasportata anche dall’aleggiare leggiadro di farfalle variopinte e diafane libellule dalle ali trasparenti.

«Bee! Bee! Sentite me che son l’araldo del re!» annunciò serafica una nera capretta, nonostante nessuno gli desse retta.

«Qua! Qua! Qua! Chissà chi lo sa!» disse invece scodinzolando col suo buffo codino mamma papera seguita da una sfilza di anatroccoli neri, che pinneggiavano goffamente nel laghetto argentato.

                                       

Il galletto bianco, consapevole di aver suscitato con il suo annuncio così tanto scalpore, gonfiò a dismisura il petto e, spingendo in alto e con orgoglio la sua cresta, rincarò la dose cantando:

«Chicchirichì! Chicchirichì! Vi chiarisco tutto se venite qui!»

Tutti quelli che avevano raccolto il canto del sagace e astuto  galletto accettarono l’invito e, in poco tempo, nella fattoria sulla collina, una folla di animali di tutte le taglie poté ammirare un grosso fiocco rosa e uno azzurro appesi alle nuvole nel cielo. Rosa come l’alba che colora a oriente e azzurro come il cielo sereno.

Una sonora e unanime esclamazione di meraviglia si levò alta dai presenti: «Oh!»

«È nato! È figlio di tutti ed è il padre dei belli e brutti! - esordì il galletto. - Il suo nome è “Dì, nuovo Dì” o più semplicemente giorno. In genere possiede un bel carattere, poiché quando è tranquillo è solare, e solo quando è arrabbiato diventa scuro e fa scendere grossi lacrimoni lancia sguardi fulminanti e profferisce paroloni tonanti. 

In quel momento non bisogna provocarlo, ma lasciare che sfoghi tutto il malumore e in un battibaleno con un bel sorriso iridato svirgolerà dal mare ai monti, lassù dove l’azzurro è più azzurro e tornerà a splendere, illuminando e scaldando tutti quelli che gli si affideranno. Siate allegri or dunque tutti quanti, poiché il tempo ha partorito per tutti noi un altro figlio prediletto e lo ha messo generosamente a disposizione di tutti gli abitanti di questo pianeta ridente.»          

                                                

Così narrò il galletto bianco la favola del nuovo giorno, che sorge immancabilmente dopo ogni oscura notte.

È così dagli albori del tempo, e così sarà per sempre!

                                            



Favola pubblicata dal 2011 sul sito Scrivere
Immagini GifAnimate.com


 

martedì 6 luglio 2021

La leggenda del gelsomino


                 


                  

Quante belle leggende sono nate ispirate da questo candido è incantevole fiorellino, a cui non è mai piaciuto stare da solo e che ha sempre preferito accompagnarsi a tanti altri candidi fiorellini come lui. Un po’ come fanno le stelle ammiccanti nel firmamento, che non sono mai sole e che illuminano con la loro presenza il cielo notturno.





Questo piccolo e delicato fiore, dall’inebriante profumo, ha antiche origini arabe e sono proprio gli amici arabi a tramandarci questa commovente e suggestiva favola.

Sembra che anche le stelle abbiano una madre e che il suo nome sia Kitza. Accadde che un giorno, Kitza, che abitava in un palazzo costruito con nuvole d'oro, mentre stava preparando i vestiti per le sue innumerevoli figliole intessuti con l’elemento più prezioso, venne disturbata da tre lamentose stelline, che protestavano a voce alta per come erano stati cuciti i loro abiti.

Una stellina protestava con vigore perché il suo le sembrava troppo largo, un'altra perché il suo era troppo lungo e la terza, non sapendo con precisione, affermava che essendo povero di gemme, il suo abito non le donava perché non era per nulla splendente.

Inutilmente Kitza le pregò di smetterla di lamentarsi e di lasciarla lavorare. Ma le tre dispettose stelline non sentirono ragioni e continuarono a protestare con veemenza.

In quel momento passava di lì Micar, il Signore degli Spazi immensi, il quale non riuscendo a capire da cosa dipendesse tutto quel fracasso decise di intervenire, mettendovi fine.

“Cosa sta succedendo qui? Cosa è tutto questo baccano?” domandò con voce potente e stentorea.

Le tre stelline sobbalzarono dallo spavento e, perdendo tutta la loro baldanza, divennero docili e sottomesse. Poi, di fronte allo sguardo inquisitore del Sovrano degli Spazi, non poterono nascondere la verità.

Venuto a conoscenza del banale motivo, il re si infuriò, indignandosi e scaraventando le tre stelline come fossero ciottoli sul pianeta Terra.

Ormai trasformate in insignificanti pietruzze, le tre rimasero immobili e grigie, come tante altre pietruzze, altrettanto anonime, stese nel fango.

La madre di tutte le stelle venne presa da uno sconforto infinito e pianse, cadendo in uno stato di inconsolabile dolore. Il suo timore più grande era che gli esseri umani, disprezzandole, avrebbero calpestato e umiliato quelle che erano state le sue splendenti, meravigliose figliole.

Sulla terra, nel frattempo, la Signora di tutti i giardini percepì l'immenso dolore di quella madre e ne ebbe pietà. Allora raccolse le tre pietruzze dal fango e, come era in suo potere, le trasformò in candidi fiorellini.

Nacque così la leggenda di questo incantevole fiore, che arricchisce di bellezza e profumo i nostri giardini, come le stelle illuminano il nostro cielo notturno.

In Italia esiste un'altra versione, altrettanto suggestiva, che narra che il primo a coltivare il gelsomino nel nostro paese fu Cosimo de Medici, il quale ne era talmente geloso, da proibirne la diffusione al di fuori dei giardini ducali.  

Accadde che un giorno, però, un giardiniere ne rubò una pianta per regalarla alla sua fidanzata. La giovane donna apprezzò talmente il dono da decidere di coltivarla, così la piantò nel suo giardino e da quel momento ne ebbe una cura amorevole. 

In seguito, i due fidanzati si sposarono e vissero felici coltivando quella pianta che si propagò talmente, da diventare per loro una fonte inesauribile di reddito.

Da allora in Toscana, la tradizione vuole che le spose aggiungano un rametto di gelsomino nel loro bouquet, in ricordo della fortuna che ebbe quella giovane sposa vissuta al tempo dei Medici e che poi è diventato sinonimo di ricchezza e buona fortuna.


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