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lunedì 30 dicembre 2019

La tessitrice d'oro




La tessitrice d'oro

 

Questa è la storia di Lalla, un ragnetto neonato, che da piccola fu costretto ad abbandonare la nidiata numerosa e agguerrita in cui era nata.

Sin dalla tenera età Lalla aveva mostrato un carattere timido e buono. Se ne stava per delle ore accucciata nel nido in attesa della mamma e nessuno dei suoi fratelli si accorgeva della sua presenza, se non all'ora dei pasti.

In quella tana erano tutti sempre affamati e Lalla, costretta dagli altri a rimanere indietro, era sempre l’ultima a mangiare. A volte accadeva anche che le strappassero il cibo dalla bocca, di conseguenza, non riuscendo a nutrirsi in modo adeguato, cresceva lentamente rimanendo la più minuta.

Un giorno Lalla intercettò degli sguardi inquietanti da parte di alcuni fratelli, che le misero i brividi addosso. La piccola corse a cercare riparo sotto il corpo peloso della mamma, che rendendosi conto di che pericolo corresse la figlioletta, si trovò costretta a prendere una decisione straziante.

Per evitarle di finire in pasto ai suoi fratelli, la mamma iniziò a spingerla con decisione verso il limite estremo del nido.

Il ragnetto urlò e si dimenò per non cadere, ma fu tutto inutile e, in pochi secondi si trovò fuori dalla tana.

Lalla passò ore a lanciare richiami e a lamentarsi. La caduta dal nido era stata un trauma, ma lo fu ancora di più il respingimento e l’abbandono della madre. Esausta per il gran pianto, alla fine si rassegnò, disse addio per sempre alla sua famiglia e si allontanò con aria triste, consapevole che, da quel momento in poi, avrebbe dovuto badare da sola ai pericoli del mondo.

Il ragnetto vagabondò per giorni patendo la fame e il freddo e finì per smarrirsi in un bosco. Stanca e avvilita si fermò sotto il ramo di un albero e iniziò a piangere sconsolata.

I suoi lamenti accorati giunsero fino a una coccinella, che s’incuriosì e riconoscendolo come il pianto di un cucciolo scese dal ramo su cui si era posata, per controllare.

Nelly, seppure fosse adulta, era esattamente la metà della piccola vedova nera.

Percependo il pericolo, le venne istintivo aprire le ali per fuggire lontano ma, in quel momento, il pianto della piccola divenne ancora più straziante e Nelly esitò.

Per qualche istante osservò il ragnetto, quindi le si avvicinò con estrema cautela, pronta però a fuggire al minimo movimento sospetto: «Cosa ti è successo piccola? Perché piangi così?»

Lalla, sgranò gli occhi! Non aveva mai visto una coccinella e quella che aveva davanti le parve bellissima con tutti quei puntini neri sul dorso rosso. Passata la sorpresa, però, riprese a piangere e tra un singhiozzo e l'altro riuscì a rispondere: «La mia mamma mi ha cacciato via dal nido, ma non ne capisco il motivo, anche perché io sono buona e non ho mai fatto capricci.»

Nelly intuì le ragioni che avevano spinto mamma ragno a prendere quella decisione e tentò di spiegarlo a Lalla: «Sono sicura che la tua mamma ti ha cacciato per salvarti la vita. Per qualche grave motivo avrà ritenuto che tu non potessi più rimanere nel nido.»

 Il ragnetto la guardò con aria stupita, ma poi la disperazione prevalse ancora una volta e riprese a piangere.

Nelly si sentì stringere il cuore per la pena e, se non fosse stato per la mole diversa, avrebbe stretto a sé quella creatura neonata. Decise che per quella sera Lalla sarebbe rimasta con lei e l'indomani avrebbe riunito d’urgenza il Grande consiglio degli Insetti e, tutti insieme, avrebbero deciso il da farsi.

Il giorno dopo, nel bosco, sedevano tutti i capi delle tribù degli insetti che avevano stipulato un patto di fratellanza, con l'obbligo di aiutarsi reciprocamente in caso di bisogno.

Erano presenti la regina delle api, quella delle vespe, il capo dei coleotteri, il re degli scarabei, il capo delle coccinelle, la regina delle formiche volanti e molti altri per decidere della sorte del ragnetto.

Ebbe inizio una lunga discussione. C'era chi si rifiutava di accettarla nel gruppo opponendo il fatto che, se fosse stato nutrito a dovere, sarebbe cresciuto ancora costituendo un potenziale pericolo per tutti loro.

La riunione divenne accesa e durò per ore. Alla fine, fu il capo delle coccinelle, presidente di turno, a suggerire una soluzione saggia, che non solo avrebbe accontentato tutti, ma avrebbe salvaguardato l’incolumità del ragnetto.

Il presidente si alzò e con cipiglio autoritario disse: «Amici! Sappiamo tutti benissimo che questo piccolo ragnetto, ora dall'aspetto così indifeso, un giorno diventerà un ragno enorme, molto pericoloso per noi. Nonostante questo, ritengo che la vita sia sacra per tutti gli esseri viventi e per questo motivo propongo di adottare Lalla e di accudirla fino a che la convivenza sia possibile.  Suggerisco quindi, che ognuno di noi, a turno, pensi al benessere della piccola. A votazione conclusa propongo inoltre, che venga nominata come balia, Nelly. Ora voteremo tutti, e la maggioranza vincerà.»

Poco dopo iniziarono le votazioni, e alla fine per pochissimi voti a favore, la vita di Lalla fu affidata alla comunità.

Il ragnetto saltellava per la felicità! Aveva trovato una nuova famiglia molto varia e sicuramente affettuosa.

Il suo buon carattere conquistò ben presto l’intera collettività. Ognuno si prodigava per farla divertire e insegnarle a vivere e Lalla aveva ogni giorno occasione di conoscere creature dalle caratteristiche differenti. Conobbe la comunità dei grilli, delle cicale, delle libellule, delle farfalle.

Le libellule la portavano a spasso sul dorso e lei spalancava gli occhi incredula alla vista del mondo dall'alto. I grilli, per farla divertire, la facevano saltellare sul loro dorso in mezzo ai prati. Le api e le farfalle le insegnarono a riconoscere i fiori dal loro profumo e dai loro colori.

Quando alla sera la riaccompagnavano da Nelly, Lalla si addormentava esausta cullata dalla voce della mamma adottiva che le raccontava fiabe di principesse e fate.

Purtroppo, anche quel breve periodo terminò.  

Lalla crebbe in fretta e la sua mole raddoppiò, sotto gli occhi attenti dei più timorosi tra gli insetti, che non avevano mai smesso di spiarla e studiarne i progressi.

Il suo aspetto aveva assunto un che di minaccioso e di inquietante e, com'era stato deciso tempo prima dal consiglio, le venne chiesto di lasciare la comunità.

Lalla si sentì morire una seconda volta e Nelly, che l'aveva amata come una figlia, si disperò mentre l'accompagnava al limite della radura.

Anche questa volta, la piccola si domandò per quale motivo venisse cacciata via. Si era dimostrata buona e tranquilla, amica di tutti gli insetti e non aveva mai fatto del male a nessuno. E allora perché? Era forse per il suo aspetto?

Fu quel momento che iniziò a odiare il suo brutto corpo nero, grosso e peloso, secondo lei causa di tutti i suoi guai.

Nelly percepì tutto il dolore della figlia adottiva e le disse: «Figliola, ognuno di noi nasce con uno scopo ben preciso nella vita. Cerca di accettarti per quello che sei, ma soprattutto rimani buona, così come sei sempre stata.»

Lalla proruppe in lacrime, senza riuscire a rispondere e Nelly, che avrebbe voluto abbracciarla, per via delle notevoli differenze fisiche, non ci riuscì. Allora, con un nodo alla gola le disse: «Tesoro mio, continua per questa strada finché non troverai un laghetto. Lì ti fermerai e lancerai un richiamo. Vedrai, ci sarà qualcuno che verrà da te.»

Nelly venne travolta dall’emozione e per nascondere il pianto volò via, mentre, Lalla si rannicchiò su se stessa, affranta.

Solo quando si fu un po' calmata, s'incamminò, come le aveva suggerito la coccinella, verso il laghetto e, una volta giunta sul posto lanciò il suo richiamo. Sul momento non ottenne risposta e, ormai sfinita, si addormentò.

Nel sogno le parve di sentire una voce che le sussurrava: «Il tempo delle lacrime è finito, piccola Lalla. Ora arriva il tempo magico per te. Sei una tessitrice per natura e le tele che intreccerai saranno tessute con preziosissimi fili d'oro, e ognuno sarà un piccolo capolavoro. Un giorno diverrai la tessitrice personale di Leonora, principessa di questo reame e il tuo compito sarà di adornare tutto il suo corredo da sposa. Ora dormi pure tranquilla, piccola. Serba pure il ricordo di Nelly nel tuo cuore, ma la tua vera vita inizierà al tuo risveglio.»

Quando Lalla si destò, ricordò il sogno e presa da una smania incontenibile, salì sull'albero più vicino e tra ramo e ramo cominciò a tessere. I primi tentativi furono incerti e maldestri, i fili non ne volevano sapere di rimanere assemblati ma, una volta acquisita un po’ di pratica, si fermò ad ammirare il lavoro.

La sua tela non aveva l'aspetto vischioso tipico delle tele di ragno, ma sembrava un centrino di pizzi arabescati. Una soffice e serica bellezza, da ammirare e da toccare. Il sole e poi la luna filtravano tra i fili incrociati, che splendevano come tante stelline. Lalla rimase a bocca aperta, stupita lei stessa da quella meraviglia.

Lo splendore delle sue tele attirò ben presto l’attenzione di tutti gli abitanti del bosco, che accorsero numerosi e senza mostrare timore nei suoi confronti.

Tutti le fecero complimenti e in molti le offrirono anche la loro amicizia.  

Nulla avrebbe potuto renderla più felice e Lalla prese a tessere instancabilmente, finché il bosco non si riempì dei suoi capolavori.

Accadde che un giorno, un cacciatore notasse le sue opere rimanendone incantato tanto, che ritornato al castello, lo fece presente alla bella principessa.

Leonora volle recarsi di persona a cercare la creatura che realizzava quei capolavori.

Non fu difficile trovare Lalla che intrecciava le sue tele e Leonora non si fece impressionare dall’aspetto inquietante della tessitrice.

Le due creature si studiarono per qualche lungo istante, e Leonora percepì nel ragno tanta bontà d'animo e bisogno d'affetto. Lalla, invece, rimase colpita dalla splendida figura della principessa.

Era la prima volta che incontrava un essere umano ma, per istinto, intuì di potersi fidare.

Diventarono così buone amiche. Leonora fece condurre Lalla nel parco che circondava il castello e da allora il corredo della principessa, diventò sontuoso, arricchendosi nel tempo di pizzi preziosissimi e rari. Lalla riuscì ad accettarsi finalmente per quello che era e rimase un ragno buono e gentile con tutti, finché anche lei incontrò il suo principe azzurro. Era un bel ragno che abitava nelle cantine reali e appena la vide rimase incantato dalla sua bellezza e dalla sua abilità nel tessere tele. Insieme misero su famiglia tante volte e vissero felici molti anni sfatando il mito che le femmine di quella specie si cibassero del compagno.

Lalla, memore di quello che aveva passato nel nido, insegnò ai suoi piccoli ad avere rispetto e ad amare sempre i fratelli e il prossimo.

 

 

 


Favola edita su " Le favole di Gigagiò" edita da Apollo edizioni




martedì 3 dicembre 2019

Alizaar e la slitta di Babbo Natale




Mancavano pochi giorni al Natale e il tempo era pessimo. Il vento soffiava gelido ululando l'imminente tempesta per le vie del paese, simile a un branco di lupi alla luna.
Nell'aria c’era già odore di neve e i pochi viandanti camminavano spediti, stringendosi nei cappotti e affondando i volti nelle sciarpe di lana. Ognuno desiderava solo far ritorno in fretta nella propria casa e mettersi al calduccio davanti al focolare. Il pensiero più allettante era quello di accomodarsi sulla sedia a dondolo, con il proprio bimbo accoccolato tra le braccia, per ninnarlo teneramente o leggere insieme un bel libro di favole.
Era una scena che accadeva di frequente nelle case dove risuonavano le voci giocose dei bimbi. Proprio là dove le decorazioni natalizie splendevano di luci e di colore, e le dispense erano colme di leccornie, pronte per essere consumate il giorno di Natale.
Ma in quel paese, purtroppo, vi erano anche delle eccezioni. Casi particolari come per la dimora gestita dalle Piccole sorelle della carità che accudivano una quindicina di orfanelli.
In quel casolare grande e decrepito non c’erano luminarie dai colori sgargianti, anzi, la scarsa illuminazione era fornita da umilissime candele.  Non vi era   nemmeno    un ornamento che mettesse allegria, né tanto meno un alberello da poter adornare per il Natale.
Le suore non riuscivano a offrire molto ai quindici piccoli ospiti, orfani o abbandonati dai loro genitori appena nati. Piccole creature indesiderate, forse perché nate con qualche malformazione o malattia genetica.
Tra i piccoli erano presenti due non vedenti, tre sordomuti, tre bambini down e due immobilizzati su una sedia a rotelle.
Gli altri orfanelli, più fortunati, stavano bene e aiutavano gli amichetti e li confortavano come fossero sorelline e fratellini, aiutandoli a superare le naturali difficoltà che la vita poteva porre loro di fronte.
Tutto sommato, quei bambini, non avendo conosciuto le gioie di una famiglia vera, si consideravano fortunati di vivere in quella casa con le suorine che li amavano e li accudivano.
Alizaar, la fata dei bimbi, seguiva personalmente, anche se dalla sua dimensione, quell’orfanotrofio, ed era angosciata da quella misera situazione. Il compito della fatina era sempre stato quello di essere pronta a cogliere   i primi vagiti di tutti i neonati del mondo, in modo da poter lanciare nel cielo le sue lucciole magiche. I fantastici insetti dovevano poi trasformarsi in altrettanto stelline, una per ogni nuovo bimbo e brillare, brillare per sempre nel firmamento esclusivamente per il nuovo nato.
Il giorno in cui erano nati i bambini poi finiti nell’ orfanotrofio, la fatina aveva lanciato invano le sue lucciole magiche nel cielo, e le lucciole a loro volta, avevano volteggiato per ore nella speranza di trasformarsi in stelline per quei bambini. Il destino dei piccoli orfani era segnato dalla sciagura e da una vita di stenti. Nessuna stella avrebbe brillato in cielo per loro e per questo Alizaar si disperava.
Per quanto le suore facessero del loro meglio andando anche a elemosinare, bussando a tutte le porte del paese e sperando nel buon cuore degli abitanti, riuscivano a malapena a sfamare i piccoli. Di conseguenza, quasi ogni  sera, dalla povera casa ingrigita dal tempo e dal gelo, si alzavano le preghiere delle piccole sorelle e le lacrime dei bimbi infreddoliti.
Quei pianti accorati giungevano alle orecchie di Alizaar e nel vedere quegli angioletti che soffrivano la fame e il freddo, le si stringeva il cuore.
Un giorno, stanca e amareggiata la fatina decise di riunire il consiglio delle fate.
«Sono spiacente, Alizaar, ma devo ricordarti che la salute di quei bambini, ormai grandi, non è più una cosa che ti riguardi. Sai bene che il tuo compito è quello di raccogliere i vagiti dei neonati.» esordì con autorità fata Ginevra, la presidentessa del consiglio.
«Questo lo so!» rispose un po’ intimidita la fatina, ma cercò di farsi coraggio per il bene dei bimbi e continuò:
«Ciò nonostante, credo sia compito di tutte noi occuparci della salute dei bambini più bisognosi e di quelli infelici.»
Fata Ginevra studiò l’espressione rammaricata della fatina e decise di lasciarla parlare.
«Ebbene, esponici la tua proposta e dopo averne discusso e valutata, la sottoporremo ai voti.»
«In realtà, non ho ancora alcuna idea. Pensavo che avreste potuto aiutarmi voi con i vostri suggerimenti.» rispose Alizaar imbarazzatissima.
«In questo modo ci metti in difficoltà. Un consiglio non ha senso se non si presentano delle proposte da valutare.» sentenziò la presidentessa con espressione seria.
La fatina si sentì sprofondare dalla vergogna mentre, le fate presenti, iniziarono a confabulare tra loro. In pochi attimi nella sala si levò un brusio concitato.
«Fate silenzio, vi prego, amiche mie! Parlate una alla volta.» ordinò la presidentessa.
Ristabilito il silenzio, ognuna delle fate ebbe modo di esporre le proprie idee.
Arrivò anche il turno di fata Farfallina, dalla corporatura esile e dalla voce tanto sottile, che le ci volle un po’ per farsi udire dalle compagne. Ma con l’aiuto di fata Ginevra, Farfallina riuscì infine a spiegare le sue idee:
«Amiche mie, ognuna di noi è specializzata in qualche settore particolare e ognuna di noi può fare qualcosa di diverso per questi bambini. Per esempio fata Lucilla. In quella casa non hanno nemmeno la possibilità di accendere una luce, ebbene, con la magia di Lucilla si potrebbe illuminare l’edificio in questo momento completamente al buio.»
La fatina fece una pausa, anche per rendersi conto di come veniva accolta la sua prima idea, quindi accortasi di avere l’attenzione totale, proseguì:
«Fata Silvestre, potrebbe rifornire di legna secca il camino di quella casa, per tenere i bambini al caldo e potrebbe inoltre regalare un bell’abete in modo che anche i piccoli abbiano il loro albero di Natale. Poi, fata Naturella potrebbe fare dono dei frutti del bosco, nonché delle arance, mandarini, mele rosse e gialle, in modo che, oltre a nutrirsi, i piccoli possano decorare il loro albero.»
Alizaar si guardò attorno, le fate ascoltavano Farfallina con attenzione quindi, rivolse uno sguardo pieno di ammirazione alla sua amica, che l’aveva già aiutata altre volte in passato e che in quel momento aveva ripreso a parlare con più convinzione:
«Fata Gioconda potrebbe mettere tanti bei doni ai piedi dell’albero e fata Natalina, invece, potrebbe aiutare a costruire un bellissimo presepe. Inoltre, tutte insieme, potremo fare una magia collettiva e riempire la loro dispensa di tante cose buone.»
«Bene!» disse fata Ginevra «Mi pare che siano tutti incantesimi di facile realizzazione.»
«Fata Ginevra, mi permetti di parlare? Avrei anche io un dono per quei bimbi!» esclamò una delle fate in fondo alla sala.
«Coraggio, parla pure fatina!» la incoraggiò la presidentessa.
«Sono la fata Merino! Con la mia magia posso riempire i loro guardaroba con cappotti e sciarpe caldissime, così come le coperte e tutti gli indumenti di cui hanno bisogno i bambini in questa stagione.»
«È davvero un dono importante, fatina. E ora, credo proprio che abbiamo pensato a tutto. Che ne dite?»
«Aspetta fata Ginevra! Mi è venuta una bellissima idea.» intervenne Alizaar che, per l’eccitazione, era scattata in piedi.
La presidentessa l’ammonì con tono pacato: «Calmati, ti prego! Non occorre che urli e che ti agiti in questo modo.»
«Chiedo scusa a tutte ma ho pensato che tutte insieme potremmo parlare con Babbo Natale.»
La proposta di Alizaar provocò un altisonante brusio, tanto che Ginevra si trovò costretta a picchiare forte il martelletto sul suo tavolo, per ristabilire l’ordine.
«Spiegaci cosa hai mente.»
«Vorrei domandare a Babbo Natale di portare con sé sulla slitta i bambini la notte di Natale. Per loro sarebbe un grande divertimento e nello stesso tempo potrebbero rendersi utili nel consegnare i doni a tutti gli altri bimbi. Che ne dite?»
«Potrebbe essere una buona idea!» era la voce severa di fata Arcana, che come al solito aveva trovato un   pretesto per contestare. «Se non fosse che tra di loro ci sono anche bambini non vedenti, quelli che non sentono e quelli che non si possono muovere. Hai pensato a come fare con loro Alizaar?»
«Certo, è un problema, ma credo si possa risolvere se unissimo le nostre energie positive e convogliassimo su quei bambini tutti i nostri pensieri. Desiderando per loro la salute e il benessere sono sicura che la notte di Natale, su quella slitta speciale, risuoneranno solo grida di gioia. E Babbo Natale, nel vedere i bambini felici, sarà ancora più contento.»
Alizaar aveva fatto tutto il discorso senza quasi prendere fiato e, quando infine concluse, i suoi occhi brillavano tanto dall'entusiasmo che le altre fate sorrisero nel guardarla.
Si alzò nuovamente un brusio e questa volta fata Ginevra lasciò fare. Ma il suo sguardo preoccupato   si posò sulla fatina ancora infervorata dal discorso appena fatto. Eppure, lei che era la più anziana   delle fate, non se la sentiva di mortificarla con un rifiuto netto.  
«Silenzio amiche mie, vi prego! Ebbene, noto con piacere che l’idea di Alizaar di parlare con Babbo Natale, piace alla maggior parte di noi. Quindi v’ invito a votare. Alzino le mani tutte le fate che sono favorevoli alla proposta.»
Le mani di tutte le fate si alzarono all’unisono e, addirittura, quelle le più entusiaste le alzarono entrambe.
Quella sera stessa, nella povera casa si accesero tutte le luci e fata Lucilla si superò, creando un incantesimo spettacolare. Oltre le luci dei lampadari accese  molte luminarie, adornando anche le porte e le finestre della casa. I bambini furono molto felici per le illuminazioni intermittenti e colorate, ma lo furono ancor di più quando fata Silvestre mandò un grande abete pronto per essere addobbato.
I piccoli orfani si divertirono un mondo a decorarlo con mandarini, arance, bacche e mele di tutti i colori. La fata mandò anche bellissime ninfee da appendere all’albero. Insomma, quando fu finito, i bambini possedevano il più bell’albero di Natale mai visto in paese.
Il colmo della felicità fu preparare tutti insieme il presepe con le statuine intagliate nel legno da fata Natalina, e le casette di sughero, la fontana, la cascata con l’acqua, il muschio e la paglia vera nella capanna. Uno spettacolo di presepe.
Difficile capire quale fu il momento più bello in assoluto per i bambini durante tutti i preparativi, poiché fu anche una gioia immensa per loro quando fata Donata fece recapitare un sacco pieno di pacchetti coloratissimi da mettere ai piedi dell’albero a formare una piccola montagna sfavillante di colori. Oppure, quando le suorine andarono ad aprire le porte della dispensa e la trovarono piena zeppa di cose buone da mangiare. O ancora, quando tutti quanti si trovarono davanti al grande camino scoppiettante di legna, ben coperti dagli abiti di lana mandati dalla fata Merino e con un bel libro di fiabe, tra i tanti inviati da fata Gigagiò.
Quello per i bambini dell’orfanotrofio fu davvero un Natale indimenticabile. Ma a coronazione di quella bellissima festa, venne la sera della vigilia e i bambini sentendo suonare alla porta accorsero a curiosare.
Quando si accorsero che nel giardino c’era la slitta, le renne e Babbo Natale in persona rimasero basiti. Sul momento pensarono a uno scherzo, ma Babbo Natale stava sorridendo e agitava in modo deciso il suo campanellino, che spandeva nell’ aria un suono argentino.
«Oh oh oh! Venite bambini, venite con me!» disse l’anziano vestito di rosso afferrando i piccoli a uno a uno e sistemandoli sulla slitta.
Naturalmente non c’era posto per tutti, così Babbo Natale sistemò i più grandicelli a cavalluccio sulle renne, assicurandosi che fossero ben legati.
Poi salì lui stesso e iniziò a chiamare a una a una le sue renne:
«Cometa, Ballerina, Fulmine, Donnola, Freccia, Saltarello, Donato, Cupido. Abbiamo ospiti di riguardo a bordo. Mi raccomando! Che il vostro galoppo sia dolce e armonioso come non mai, amiche mie! Andiamo, ayooo! Ayoooo!»
«Ayoooo!» gridarono a squarciagola i bambini che potevano farlo.
Le renne s’impennarono dolcemente e con grazia balzarono in cielo.
Dopo i primi attimi di comprensibile timore, i bambini si entusiasmarono nel volo. La slitta si librava delicatamente portando il suo prezioso carico e le renne ogni tanto si giravano a guardare i loro piccoli cavalieri, per assicurarsi che stessero bene.
Dopo pochi minuti, il prodigioso convoglio era già arrivato nel firmamento. I bambini tacevano strabiliati. Da lontano la terra sembrava una palla appesa nel vuoto circondata dalla luna, ma soprattutto da una miriade di stelle che baluginavano, ammiccando ai bambini.
E fu allora che accadde una cosa del tutto incredibile e inaspettata.  Babbo Natale stesso con le sue renne, s’immobilizzò, come interdetto dall’ evento. Un gruppetto di quindici stelline si staccò dallo spazio immenso e si diresse verso la slitta.
Intimiditi da quel fenomeno strano, i bambini si abbracciarono, stringendosi tra loro.
Temendo il peggio Babbo Natale provò a spronare le renne, ma le stelline non esitarono e ognuna si posizionò su di una testolina.
In quel momento tutta la slitta venne coperta da polvere di stelle e venne poi avvolta in un globo di luce scomparendo alla vista.
Quando poi la luce si dissolse, i piccoli si guardarono stupiti tra loro: i bimbi non vedenti guardavano con occhi sgranati tutto ciò che prima non gli era concesso vedere, quelli immobilizzati fino a poco prima, saltavano gioiosamente sulle loro gambette, mentre   quelli sordomuti parlavano e ridevano con gli altri e i bambini  down avevano perso tutte le caratteristiche della sindrome.
Quella notte di Natale, sulla slitta più famosa al mondo si era verificato uno degli eventi più straordinari mai accaduti prima nel mondo magico di Gigagiò, e anche nel mondo.
E tutto ciò era stato possibile per l’amore che una piccola fata di nome Alizaar portava racchiuso nel suo cuore per tutti i bambini del mondo.


        

     

Favola di Vivì pubblicata sul sito Scrivere

 



sabato 23 novembre 2019

Alizaar e il piccolo mimo






Alizaar, la fatina dei bimbi e delle lucciole magiche era disperata.
Il motivo di tanta tristezza era dovuto al fatto che la sua natura magica era limitata e ligia al compito che le fate maggiori le avevano affidato.  
Alizaar aveva l’incarico di lanciare una lucciola magica in cielo, che si sarebbe trasformata in stella, ogni volta che nasceva un bimbo e quella stella avrebbe illuminato la via del neonato per sempre.
Purtroppo, quel giorno non risultava lieto come tutti gli altri e le lucciole, che percepivano la profonda malinconia della fata senza capirne i motivi, la guardavano con apprensione. Non avevano mai visto la loro amica così triste e la cosa le innervosiva.
«Che cosa ti succede Alizaar? Perché sei così seria?» chiese Lucy, la portavoce di tutte le lucciole in servizio volontario nella sua lanterna magica.
«Stamattina una delle cicogne addette all’annuncio della nascita dei bimbi, mi ha riferito che presto ne nascerà uno, del quale di certo non potrò sentire i vagiti perché sarà diversamente abile, cioè non sarà mai in grado di sentire e nemmeno di riprodurre suoni. E voi sapete bene che per accendere la stellina per lui devo udirne il pianto.»
Alizaar scoppiò in lacrime e anche le lucciole si commossero con lei.
All’improvviso a Lucy venne un’idea e per l’emozione s’illuminò tutta.
«Smetti di piangere, fatina, altrimenti farai piangere anche tutte noi. Piuttosto, perché non domandi un suggerimento al Consiglio Supremo delle fate? Forse riusciranno a trovare una soluzione affinché anche questo piccolo abbia una stella dedicata soltanto a lui.»
Alizaar sgranò gli occhi sulla piccola lucciola, mentre si asciugava le lacrime e soffiava il nasino.
«Mi sembra una buona idea. Mi aiuterete a inviare un messaggio per riunire il Consiglio?»
«Ma certo. Ci penseremo noi. Scommetto che le api, i coleotteri e le coccinelle si presteranno volentieri a volare per te come messaggeri.» rispose Lucy.
In men che non si dica decine d’insetti si alzarono in volo recapitando il messaggio e poco dopo il consiglio si riunì, presieduto da una delle fate più anziane.
Ognuna delle partecipanti provò a dire la sua, ma nel bel mezzo dell’assemblea, si fece avanti una minuscola fata con le grandi ali da farfalla, coloratissime prendendo la parola:
«Innanzitutto, vorrei sottolineare che, già il fatto di sapere che questo bimbo nascerà, è una splendida notizia. Ringraziamo dunque la cicogna che ci ha informato del lieto evento. Inoltre, è anche vero che Alizaar non ne potrà sentire i vagiti, perché il pianto del bimbo sarà silenzioso, ma se si trovasse presente al momento della nascita e lo vedesse piangere, potrebbe lanciare lo stesso le sue lucciole nel cielo, e fare sì che la stellina del neonato si accenda e risplenda solo per lui.»
Le fate, ma soprattutto Alizaar, guardarono con gratitudine la fatina- farfalla e accolsero con entusiasmo la sua splendida idea.
Alla fine della riunione, la farfallina s’avvicinò ad Alizaar e sottovoce le bisbigliò:
«Vorrei che questo bimbo ricevesse un dono speciale, mia dolce amica. Portale per me questo piccolo amuleto, e mettilo al suo collo. Poi dovrai solo recitare la formula magica, così che possa splendere per sempre al suo petto, come splenderà la stellina che accenderai per lui.»
«Dimmi farfallina, di che incantesimo si tratta?»
Farfallina sorrise e rispose, con un sorriso misterioso:
«Questo bimbo diventerà il più grande e potente comunicatore del mondo intero!»
Alizaar la guardò con un pizzico d’incredulità. Avrebbe voluto saperne di più, ma Farfallina si congedò dalla sua amica.
E fu così che il giorno in cui nacque il piccolo Davide, una stella brillantissima si accese in cielo per lui mentre, felice per aver ancora una volta adempiuto al suo dovere, Alizaar, del tutto invisibile agli esseri umani, mise al collo del piccolo il talismano donato da Farfallina.
Non fu di certo una vita facile per lui all’inizio, ma grazie alla stellina che ogni sera ammiccava lucentissima, il bimbo fece un incontro che gli cambiò la vita in un modo strabiliante.
Un giorno fu portato al circo dai genitori e lì conobbe un clown che era anche un mimo molto famoso.
Il pagliaccio s’intenerì quando conobbe il suo problema e decise di insegnargli la sua arte.  
Il piccolo Davide imparò presto e quando fece il suo debutto sulla pista, mascherato da Pierrot, iniziò a mimare con le mani e con il corpo animali e cose.
Fu un vero trionfo! Il pubblico si alzò in piedi per applaudirlo.
Il tempo passò in fretta. Davide era benvoluto da tutti gli amici e gli animali del circo. Aveva sempre il sorriso sulle labbra e sembrava proprio che la sua menomazione non gli pesasse.   Le persone rimanevano affascinate dal suo buon carattere e dal suo modo di fare.
Insieme al ciondolo magico il ragazzo aveva ricevuto un dono straordinario da fata Farfallina, ed era quello di poter comunicare in tutte le lingue del mondo.
La cosa più sensazionale era che il piccolo mimo riusciva a intuire le necessità degli animali, a prevenirne i desideri, ma soprattutto a comunicare con loro. Nessun altro al mondo era in grado di fare altrettanto!
Un giorno, al circo, accadde una cosa straordinaria, di cui trattarono i giornali per molto tempo.
Iniziò tutto con una scintilla causata da un corto circuito. Ebbene, quella scintilla provocò un principio d’incendio che fece accorrere tutti, uomini, donne e bambini nel disperato tentativo di soffocare le fiamme che già lambivano il telone del circo.
Il quel momento il domatore stava effettuando gli abituali esercizi con le sue tigri della Malesia.
L’allarme per l’incendio risuonò improvviso e lo costrinse a rinchiudere frettolosamente le grandi gabbie dove erano custoditi i felini.
Nella confusione venutasi a creare, una delle gabbie rimase con la porta accostata e due delle tigri riuscirono a fuggire.
Il fato giocò uno strano ruolo in tutti gli avvenimenti che si verificarono da quel momento in poi, conducendo le tigri impazzite dal terrore verso il tendone in cui si trovavano gli elefanti.
Sappiamo tutti della proverbiale diffidenza che corre tra queste due specie.
Ebbene, gli elefanti alla vista improvvisa dei due felini, che ruggivano con fragore, cominciarono a strattonare le corde a cui erano legati.
Le urla, le fiamme e l’odore acre di fumo, che si stava propagando dappertutto, terrorizzarono i pachidermi che lanciarono barriti altisonanti e, con la forza della disperazione, divelsero le catene che li tenevano prigionieri e fuggirono.
La folle corsa rischiò di travolgere tutto ciò che si trovava sulla loro strada.
Davanti a loro fu un fuggi fuggi generale mentre, dietro, terrorizzate anch’esse dalla totale confusione, seguivano le tigri.
Per fortuna, l’incendio venne domato, anche se, purtroppo, gli animali erano ormai lontani e stavano dirigendosi minacciosamente verso la città.
Il domatore e gli artisti del circo seguirono con apprensione gli elefanti e i felini, senza riuscire in nessun modo a fermarli quando, e all’improvviso, davanti a loro si stagliò la figuretta esile vestita di bianco.
Davide appariva calmo e tranquillo mostrando un grande coraggio davanti a quella carica forsennata.
Dimenticando che non era in grado di sentire, il domatore gli urlò un avvertimento:
«Spostati ragazzo! Morirai calpestato!»
E, forse, se anche avesse potuto, Davide non si sarebbe spostato.
La sua figuretta impavida si stagliava con le braccia aperte, quasi a voler bloccare la massa di animali lanciati nella folle corsa.
Il ragazzo stava immobile e fissava negli occhi l’elefantessa che sembrava guidare il branco.
Il pachiderma si chiamava Bing e s’accorse subito del ragazzo che era d’intralcio sulla loro strada.
Le sue grandi orecchie sferzarono nervosamente l’aria mentre inalberò la proboscide lanciando altisonanti barriti di avvertimento.
Conosceva bene il ragazzo, che ogni giorno si fermava tra loro mostrando una grande attenzione nei confronti di tutti gli animali presenti nel circo.
Davide, a poco a poco, era riuscito a conquistarsi la loro fiducia.
Purtroppo, Bing era troppo spaventata e pressata dai compagni e dai felini che sembravano perseguitarla.
Lanciò comunque un ultimo avvertimento:
«Spostati ragazzo! - gli comunicava. - Spostati! Non voglio farti del male!»
Davide sorrise:
«Fermati mamma elefante! E ferma i tuoi amici! Anche tu Fiammetta! E anche tu Geraldina! Fermatevi tutti! Il fuoco ormai è spento! Non dovete più temere!»
Il branco era ormai a una decina di passi dal ragazzino e ai presenti, ignari del silenzioso dialogo tra i due, parve proprio che non ci fosse margine di salvezza per quella figuretta esile.
La polvere sollevata dalle mastodontiche zampe dei pachidermi coprì la scena per qualche interminabile secondo e gli addetti del circo rimasero con il fiato sospeso.
Quando la nube si dissolse e l’aria tornò pulita, una visione meravigliosa apparve agli occhi dei presenti.
Un attimo prima di travolgere il ragazzo, Bing era riuscita a frenare la sua corsa e quella degli altri animali, poi aveva teso la sua proboscide come in un abbraccio e sollevatone con delicatezza il corpo, se lo era posto sul dorso, così come appariva in quel momento agli occhi dei circensi.
«Vieni ragazzo, torniamo a casa!» era riuscita a comunicargli.
«Sì, Bing. Torniamo!» aveva risposto lui a modo suo.
Sotto lo sguardo esterrefatto del domatore, dei pagliacci e degli atleti, il branco di pachidermi e dei felini si rimise in cammino verso il circo.
Davide aveva compiuto un atto di coraggio e da quello ne era nato un prodigio.
Era riuscito a comunicare con i suoi amici animali e a fermarne la folle corsa verso la salvezza. Ma soprattutto, era riuscito con il linguaggio che solo lui conosceva, a trasmettere amore per la vita e tanta pace.
Ancora una volta, un incantesimo del bene aveva dato i suoi buoni frutti.
La fata Alizaar, ora sorrideva raccontando alle sue amiche la storia del piccolo Davide, il mimo più famoso e più felice del mondo intero.

                                                     





mercoledì 20 novembre 2019

Alizaar...La fata dei bimbi




Nel mondo dei sogni magici, si racconta di una piccola fata portatrice della lanterna delle lucciole ammiccanti.
La fatina si chiamava Alizaar e aveva ricevuto l'incarico di lanciare nel cielo le lucciole volontarie.
I piccoli e magici insetti si erano offerti sin dalla nascita a illuminare i sentieri bui della notte alla fatina. 
Il compito che le era stato affidato era quello di cogliere il pianto che ogni neonato emette alla sua nascita. Al primissimo vagito, doveva essere lesta a prelevare una lucciola magica dalla lanterna e lanciarla nel cielo, affinché l’insetto si potesse trasformare in una piccola stella.
                                                  
                                                               
                                                                  

           
Era un evento che accadeva dalla notte dei tempi. Ogni qualvolta nasceva e nasce ancor oggi un bambino, una piccola stella s’illumina   nel cielo e cresce, cresce fintanto che il bimbo non diventa un adulto.
La stella accesa per quel neonato sarà per sempre dedicata a lui e lo illuminerà e lo guiderà soprattutto quando si troverà ad affrontare le situazioni più difficili.
In questa storia si narra di quella notte che il mondo, a causa della gelosia di una strega malvagia, ha rischiato di rimanere nell’oscurità totale.
Quella sera Alizaar camminava nel bosco delle fate, come sempre con le orecchie ben tese. Ebbene, era tanto intenta ad ascoltare il silenzio del bosco, da non accorgersi dell' ombra scura che la stava seguendo da tempo.                                              
                                
                                                      

Era la fata nera Malvena, che abitava nell'antro più scuro del regno magico e che usciva solo di notte, perché ormai la sua pelle era abituata alla tenebra più fitte. La fata oscura non avrebbe sopportato la luce del giorno, e se fosse stata raggiunta da uno solo dei raggi solari, la sua pelle pian piano si sarebbe raggrinzita fino a farla sembrare una mummia, a distruggerla e a farla svanire nel nulla per sempre.
A Malvena la lanterna di Alizaar faceva gola perché poteva illuminare anche le notti che lei passava a caccia di rospi e animaletti vari ritenuti indispensabili per la preparazione dei suoi intrugli e pozioni velenose. Era inoltre convinta che se il mondo avesse perso un po' della sua luce naturale, per lei sarebbe stato un bene.
Malvena era tanto perfida che sarebbe stata disposta ad uccidere pur di ottenere ciò che tanto desiderava.
Quella notte iniziò a seguire la fatina tenendosi nascosta tra le ombre degli alberi e, quando finalmente giunsero nei pressi di un ruscello, intuì che quella era l'occasione giusta.
Era la notte del cambio e del rinnovamento delle lucciole nella lanterna.
 I piccoli insetti non erano instancabili e nemmeno eterni e ogni tanto occorreva sostituirli. Le vecchie lucciole lasciavano il posto alle nuove volontarie.                                                        
                                                                                                                        
E fu proprio nel momento delicato della sostituzione che scattò la trappola della fata nera.  Negli attimi che ci vollero per effettuare il cambio, Malvena lanciò il suo incantesimo facendo apparire all'improvviso, tra i piedi di Alizaar, una grossa radice d'albero contorta e sporgente.
La giovane fata non se ne avvide in tempo, inciampò e cadde rovinosamente a terra ruzzolando infine nel torrente.  Il peso dei vestiti che indossava la trascinarono sottacqua quindi, venne catturata dalla forte corrente.
Alizaar, forse, non se ne rese nemmeno conto, ma un attimo prima di cadere nel torrente mollò la presa della lanterna lasciandola cadere per terra.
Non era mai accaduto nella storia delle lucciole, che una fata portatrice abbandonasse, anche solo per un attimo, la sua lanterna. Eppure, Alizaar così facendo, salvò le sue piccole amiche a cui era tanto affezionata. Quando si accorse di non averle più con sé e del pericolo mortale che avevano corso per la sua sbadataggine, si ripromise, appena le fosse stato possibile, di ritrovarle e non lasciarle mai più.
I suoi propositi erano buoni, ma la fatina non aveva tenuto conto della corrente, che in un attimo la portò lontano dalla riva.
Quando, dopo ore riuscì con fatica a ritornare sul posto, bagnata e confusa, nonché mortificata per l'accaduto, la lanterna con le lucciole era sparita.
                                                       
Alizaar, del tutto ignara che la colpevole del furto fosse la fata nera, iniziò la ricerca. Senza lucciole non avrebbe più potuto accendere stelle nel cielo, ed erano già molti i bambini nati dal momento dell’incidente che non avevano ancora la loro luce.
Il pianto che le salì dal cuore e i suoi lamenti accorati spinsero le molte creature magiche, abitanti del bosco, ad accorrere in suo aiuto. Fu una libellula della specie argentata a raccontarle come, in realtà, fosse stata Malvena a procurarle l’incidente e a rapire le sue piccole amiche.
Alizaar rimase interdetta. Mai si sarebbe aspettata un’azione così malvagia da parte della fata nera.
Per un attimo fu presa dallo sconforto ma poi reagì.
Le rimaneva solo una cosa da fare, prima che il disastro s'impadronisse del mondo.
«Saresti disposta a portarmi fino all'antro della fata nera?» domandò alla libellula che, come dimensioni era molto più grande rispetto a lei e in grado di trasportarla sul dorso.   
La libellula si prestò volentieri piegando le sue zampe per agevolarle la salita.
In pochi minuti di volo, seguite da tanti altri abitanti del bosco e da tante altre lucciole,  arrivarono all'imboccatura di un grande buco nero.                 
                                                                        
Appena si avvicinarono furono assaliti da un tanfo terribile che li fece arretrare. Alizaar non si lasciò impressionare dal cattivo odore, anche perché sentiva il peso della responsabilità di quanto accaduto e riteneva che, ormai, era una questione di vita o di morte. Se non fosse entrata nell'antro, la terra sarebbe stata, con gli anni, destinata a diventare un pianeta desolato senza la luce delle stelle.
Attingendo a tutto il suo coraggio entrò, seguita dallo sciame di lucciole che l'accompagnarono fino a quando arrivarono nella caverna centrale.
L’oscurità era quasi totale e solo in un angolo spiccava l'alone della lanterna con le lucciole prigioniere, che Malvena aveva provveduto a coprire con un telo scuro.
Furiosi con la strega, i piccoli insetti, avendo percepito il suo punto debole avevano preso a luccicare con un’intermittenza senza fine, recandole un fastidio enorme sia alla pelle, che agli occhi abituati all'oscurità.
Alizaar se la ritrovò davanti quasi senza accorgersene perché la sua attenzione era tutta rivolta alla lanterna. Mancò un soffio che Malvena, impugnata la sua bacchetta magica, riuscisse a pronunciare l'incantesimo fatale.
Lo sciame di lucciole che l’avevano seguita, si buttò all’unisono sulla strega, che fu avvolta così in mille lampi accecanti che colpirono i suoi occhi e la sua pelle come tanti aghi dolorosissimi. Malvena lanciò un urlo orripilante e cercò di coprirsi il viso e il corpo come meglio poteva.
                                              

Alizaar non si fece sfuggire quel momento propizio e pronunciò lei stessa l'incantesimo che immobilizzò la strega come una statua di sale.
Essendo una creatura benefica, nata per fare solo del bene, Alizaar non volle infierire su Malvena e pensando che fosse stata punita abbastanza, la lasciò prigioniera del suo incantesimo, che pian piano si sarebbe dissolto, lasciandola a rimuginare sul male fatto. 
O almeno, così sperava e ripresa la lanterna con le lucciole magiche uscì da quel luogo oscuro.
Appena all’esterno aprì la lanterna e liberò tante lucciole, quanti i nuovi vagiti che aveva percepito. Per sicurezza, ne liberò qualcuna in più e le lanciò nel cielo, tramutandole in stelle.
Fatto questo se ne ritornò nel suo bosco fatato, ed è ancora là, con la sua lanterna, le magiche lucciole, sempre in ascolto, sempre in attesa di vagiti neonati.
                                                     
  



                                         


 

             
Favola di Vivì pubblicata " Le favole di Gigagiò" 
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sabato 9 novembre 2019

IL VERSO DEL LEOPARDO DI VIVI' COPPOLA







 Mwana Wa Chui è un’esile creaturina pelosa, appena nata, abbandonata e rinvenuta,
nel folto della foresta, da due ragazzi della tribù Wandinga.  Nubia e Naaghet soccorrono il cucciolo di
gorilla e, con i consigli della donna sciamano del villaggio, riescono a
salvarlo e poi allevarlo amorevolmente. Tra i tre s’instaura un rapporto di
amicizia e di fiducia reciproca e Mwana si rivela ben presto una creatura
straordinaria, dalle facoltà intellettive impensabili per la specie a cui
appartiene. Infatti, Mwana, grazie agli insegnamenti di Nubia, impara presto a
comunicare con i suoi amici umani tramite il linguaggio dei sordomuti e quello
del corpo. Purtroppo, le voci di queste sue peculiarità giungono alle orecchie
di un malvagio bracconiere che, incuriosito e interessato, intraprende un lungo
viaggio attraverso la foresta per raggiungere il villaggio dei Wandinga. Il
losco scopo del cacciatore è quello di rapire e vendere al miglior offerente la
sua preda, ma i tamtam comunicano l’arrivo del bracconiere e dei suoi uomini e
mettono in allerta gli abitanti del villaggio. Sarà allora che la donna
sciamano, per salvaguardare la vita dei tre amici, consiglia loro di partire.
Inizia così una lunga fuga attraverso una foresta che è immensa e nasconde pericoli
di ogni tipo. I tre si troveranno ad affrontare ostacoli imprevisti e una
dolorosa quanto necessaria separazione voluta da Mwana. Il giovane gorilla
intraprenderà una nuova strada alla ricerca dei suoi simili e alla scoperta
della sua vera essenza. Con questi nuovi amici si troverà a vivere situazioni
ed esperienze del tutto diverse e anche a dover accettare l’autorità di un
capobranco. A volte rimpiangerà amaramente di aver lasciato i suoi due compagni
umani. Quando alla fine si ritroveranno il primate dovrà fare una scelta.
Continuare a vivere una vita che non sente del tutto sua con i suoi simili o
tornare al villaggio che l’ha adottato e visto diventare adulto? Un racconto
colmo di colpi di scena e di avventure, ma anche una storia di profonda amicizia,
devozione e solidarietà tra generi diversi. 

venerdì 18 gennaio 2019














                                                 

Stella, stellina che brilli lassù,

la tua luce risplende sulla terra quaggiù,

con le tue sorelle, il sole e la luna

è folgor luccicante nella celeste laguna.


 

Stella, stellina non mi guardi, perché?

Il mio desiderio realizza per me!

Che stiano bene tutti i bimbi del mondo,

gioiosi in famiglia a tutto tondo.

                                                         

Stella, stellina che ammicchi lassù,

oggi ti chiedo un pochino di più:

veglia su mamma, sul babbo e sui nonni

e colma di luce i loro sonni.


                    


Filastrocca pubblicata  sul sito Scrivere

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La leggenda di re Carnevale

  C’era una volta un regno governato da un sovrano chiamato Carnevale dall’indole scherzosa, altruista e molto generosa. Difatti, ogni sud...