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sabato 30 dicembre 2023

La leggenda della stella di Natale

 



Tanto tempo fa, in un piccolo villaggio messicano viveva una bambina poverissima che si chiamava Pepita. In quel periodo si era alla Vigilia di Natale e tutti i bambini del paese si recavano in chiesa per portare i loro doni a Gesù Bambino. Non avendo nulla da offrire la piccola si disperava e con gli occhi colmi di lacrime rimaneva in disparte a osservare la processione di compagni verso l’altare.

All’improvviso, nel cielo vide una stella brillare molto più di tutte le altre e nello stesso momento sentì una voce angelica che le sussurrava: «Non piangere, piccola cara. Il Bambin Gesù accetterà qualsiasi cosa se donata con amore.»

Pepita, un po’ perché sorpresa e incredula e, un po’ perché scettica, scosse la testa in un diniego, ma la voce proseguì con tono pacato: «Vedi quel prato? Potresti raccogliere un po’ di quell’erba e portarla all’altare. A Gesù piacerà e l’accetterà, vedrai.»

Pepita, anche se un po’ tentennante, fece come le veniva suggerito ma dopo aver raccolto un bel fascio di erba rimase qualche istante a guardarlo in modo sconsolato. Quel fascio aveva proprio un brutto aspetto ed era brullo e quasi secco. Che figura avrebbe fatto col Divino Neonato portandolo all’altare per donarglielo? Mentre rimuginava, le venne un’idea e dai capelli sciolse il bel nastro rosso che le aveva regalato il suo papà prima di morire, quindi, lo riannodò con un bel fiocco al fascio raccolto. Per Pepita era un enorme sacrificio rinunciare all’ultimo ricordo dell’amato papà ed era anche sicura che se ne sarebbe pentita, tuttavia, con quel nastro rosso, quel fascio poteva anche apparire presentabile.  

Quando Pepita si recò presso l’altare per deporre il suo dono, gli altri bimbi la derisero e iniziarono a sghignazzare tra loro indicandola. Pepita abbassò il capo mortificata.

“Lo sapevo che non era adatto!” pensò, scoppiando in un pianto a dirotto e apprestandosi a lasciare la chiesa ma, poi, alcune voci attirarono la sua attenzione:” Guardate! Non si è mai visto nulla di più bello!” dicevano i presenti indicando il mazzo appena deposto sull’altare.

Pepita strabuzzò gli occhi pieni di meraviglia. Le sue lacrime avevano compiuto un prodigio e, ai piedi del Bambin Gesù, al posto delle erbacce erano sbocciate alcune stelle rosse meravigliose. Quella notte, grazie al cuore generoso di una povera bimba era nata la Stella di Natale.



Leggenda dal web rielaborata da Vivì

immagini dal web

mercoledì 6 dicembre 2023

La leggenda dell’albero di Natale

 

 

Una leggenda narra che in una notte gelida di tanto tempo fa, Babbo Natale s’incontrò con Gesù Bambino per scambiarsi opinioni e consigli sui doni da fare alla vigilia a grandi e piccini.

Gesù Bambino percepì subito la profonda malinconia che albergava nel cuore dell’omone dalla barba bianca vestito di rosso e indagò: «Che ti succede, amico mio? Cosa è che ti turba così tanto?»

Babbo Natale sospirò profondamente e si confidò: «Da un po’ di anni a questa parte avverto una grande indifferenza negli esseri umani e una totale assenza di entusiasmo, quasi come se non  importasse l’arrivo  del giorno e della festa più bella e gioiosa dell’inverno. Questo disinteresse mi fa star male e mi condiziona. Mi domando se vale più la pena di affannarsi tanto per far arrivare in tempo i doni in tutte le case.»

«Sai, credo che tu abbia proprio ragione e penso che dobbiamo trovare un rimedio al più presto per far ritornare la gioia e la voglia di festeggiare nelle case degli esseri umani» disse Gesù percependo a pelle quel profondo disagio e condividendolo, quindi, si soffermò a riflettere per qualche istante.


Nel frattempo, s’inoltrarono nel bosco dove, in seguito a una copiosa nevicata, tutto era silenzio e ammantato da una candida e algida veste. La notte era limpida e rischiarata da una luna piena che illuminava il cammino dei due viandanti e rendeva la visione di un paesaggio da fiaba.

«È una vera meraviglia!» esclamò Babbo Natale fermandosi davanti a un bellissimo abete ricoperto di bianco ed estraendo dal suo sacco magico alcune mele rosse.

«Questi sono i colori del Natale!» disse appendendo i frutti ai rami con dei fiocchetti dorati. Gesù lo assecondò appendendo, a sua volta, nocciole, dolcetti e tante candele. Quando non ebbero più decorazioni si soffermarono entrambi a rimirare il risultato e Gesù si accorse che il volto dell’amico era tornato pacioso e rubicondo. Come per magia quel velo di tristezza era scomparso e Babbo Natale era tornato l’omone sorridente e simpatico che era sempre stato.

«Non ci rimane che raccoglierlo con le sue radici e portarlo in dono nel casolare più vicino» propose ammiccando «Chissà che domani al loro risveglio non cambino idea sul Natale.»

Gesù annuì e aiutò l’amico ad attuare il suo piano.

Come previsto da Babbo Natale, l’indomani la famigliola rimase stupefatta alla vista dell’albero così bello e splendente. Cosa era accaduto quella notte? Chi aveva portato quell’abete meraviglioso?

La felicità e l’allegria tornarono come per incanto e, ben presto, la casa si riempì delle voci e delle urla di gioia dei bambini e dei loro genitori. Quelle urla e quegli schiamazzi attirarono l’attenzione dei vicini, che accorsero per capire cosa stesse succedendo. Quando si scoprì che il chiasso era a causa dell’abete scintillante di luci e colore, ogni abitante del villaggio si premurò di procurarsene uno e addobbarlo.

In breve la gioia e l’allegria per la Santa Festività tornò ad aleggiare nel paese e Babbo Natale tornò con entusiasmo a preparare la slitta con tanti bei regali da distribuire a grandi e piccini.



Leggenda e immagini dal web


sabato 28 ottobre 2023

Il fantasma Puzzapazza

 






C’era una volta, in un paese lontano, un castello stregato abbandonato dagli esseri umani e abitato da un fantasma soprannominato Puzzapazza. Gli abitanti del villaggio cercavano di stare alla larga dal castello poiché nei dintorni aleggiava sempre un

 odore rivoltante.                   

Puzzapazza, che possedeva un’indole buona, gentile e socievole, si aggirava nelle stanze del castello disperato, perché non capiva proprio il motivo per cui le persone evitavano di avvicinarsi e perché, fino a quel momento, lo avevano boicottato. 

Puzzapazza non aveva mai spaventato nessuno e allora si domandava ogni giorno perché la gente lo evitava a quel modo. Lui aveva solo voglia di socializzare, avere tanti amici con cui parlare, giocare e passare il tempo.

Il poverino finì per essere depresso e passava notti e giorni piangendo, gemendo e ululando come un lupo farebbe alla luna.

Accadde che una sera fredda e piovosa di autunno, un ignaro viandante decise di bussare alle porte del castello per passare la notte al riparo e Puzzapazza, non credendo alle sue orecchie, corse a spalancare il portone e a dare un caloroso benvenuto allo sconosciuto.   

 

Il visitatore stanco, infreddolito e affamato, decise di non dare peso al fatto di avere a che fare con un fantasma e ne accettò il cortese invito ad accomodarsi nel salotto ma, mentre si sedeva, al fantasma scappò un sonoro e rivoltante PRRRTT. Mamma mia! Che puzza! L’occasionale ospite s'indignò, ma quasi perse i sensi per l’odore che gli giunse al naso. Puzzapazza, che lo vide in grande difficoltà, accorse per soccorrerlo ma, mentre lo faceva, gliene scappò un’altra: PRRRTT.

Il povero uomo, ormai sopraffatto dal disgusto, cercò di allontanarsi ma Puzzapazza, che mortificato dalla vergogna voleva solo scusarsi, iniziò a inseguirlo per tutte le stanze ma, purtroppo, per l’agitazione continuò a fare PRRRTT a ripetizione.

                                    

Avvilito e disgustato il viandante se ne andò dal castello e Puzzapazza rimase di nuovo da solo.

Soltanto quando fu abbastanza lontano l’uomo ricordò la cortesia e la simpatia che gli aveva dimostrato il fantasma e ricordò anche quanto lo aveva inseguito per chiedere scusa. Allora decise di tornare, ma solo dopo aver indossato una maschera antigas.

Quando il viandante bussò di nuovo alla porta del castello, Puzzapazza non credette ai suoi occhi. Mai nessuno era entrato o era tornato da quando lui abitava lì e, felice e incredulo, fece accomodare l’uomo così deciso ad aiutarlo a risolvere quel suo grave problema.

Il viandante scoprì presto che Puzzapazza seguiva una dieta a base di soli fagioli stregati  donatogli da un altro fantasma geloso e vendicativo, per cui, non era colpa sua se gli scappavano continuamente puzze, puzzette e puzzone.

L’uomo suggerì a Puzzapazza una dieta varia ed equilibrata e, ben presto, quel rivoltante e disgustoso difetto, che tanto malessere recava, si attenuò fino a svanire.

In seguito, l’uomo organizzò una festa al castello e con le buone maniere convinse gli abitanti a partecipare e a fare amicizia con Puzzapazza.

Il castello si riempì di gente allegra e disponibile e Puzzapazza si trasformò in un fantasma felice.  


Leggenda ed immagini dal web


mercoledì 25 ottobre 2023

Il fantasma Formaggino


 

C’era una volta un piccolo gruppo di ragazzini, tra cui spiccavano tre monelli decisi, spigliati e spavaldi. Ognuno voleva dimostrare all’altro di essere più coraggioso e per niente timoroso del buio, dei pericoli e di eventuali, terrificanti creature che vivevano nell’oscurità. I ragazzini si sfidavano abitualmente in prove di grinta e coraggio finché a uno dei tre venne l’idea di trascorrere la notte nel rudere di un castello abbandonato situato in via della Civetta numero 17. Ognuno di loro avrebbe dovuto rimanere nel castello per tutta la notte completamente solo e soltanto quello che resisteva fino al sorgere del sole avrebbe vinto la scommessa e la sfida. 



Il primo ragazzino si fece coraggio e armato di una candela e di un sacco a pelo si apprestò a trascorrere l’intera notte nel castello, ma al dodicesimo rintocco della mezzanotte una strana e improvvisa folata di vento spense la candela. Il monello, impaurito, tese i sensi e le orecchie ma quando percepì lo stridio di catene e il tonfo pesante di passi in avvicinamento, non esitò un istante e fuggì a gambe levate. Ai due amici raccontò di essere stato inseguito da qualcosa o qualcuno invisibile che lanciava urla e ululati, tanto striduli, da fargli accapponare la pelle. «Uhuuu…uhuuu, sono il fantasma Formaggino e questa è casa mia! Vattene via se non vuoi finire male!»

Gli altri due monelli non gli credettero, anzi, lo derisero, sentendosi molto più bravi e coraggiosi e sempre più decisi a portare a termine la sfida. Ma quando anche il secondo ragazzino fuggì terrorizzato dal castello inseguito dal fantasma, il terzo iniziò ad avere seri dubbi sul rudere e sugli strani fenomeni che sembrava avvenissero all’interno. Deciso a dimostrare il suo valore, la sera di Halloween il monello si apprestò a sua volta a passare la notte nel rudere e quando giunse la prima folata di vento che spense la sua candela, si arrotolò ancora di più nel sacco a pelo e si volse dall’altra parte.

Con il cuore che batteva forte forte e con la pelle accapponata, contò i passi e avvertì il cigolio delle catene, ma strinse i denti e rimase al suo posto. «Uhuuu…sono il fantasma Formaggino e questa è casa mia! Vattene via se non vuoi finire male!»

Sentendo quel nome ridicolo il ragazzino si volse e rispose con grinta: «Uè fantasma Formaggino! Con quel nome non puoi proprio farmi paura e se non te vai tu ti spalmo sul mio panino!»


La filastrocca di Formaggino


Il fantasma piccolino ora sosta un po’ sorpreso,

il cipiglio del monello gli ha lasciato il fiato sospeso.

La minaccia appena esposta con un piglio e tanta baldanza

 sinistra echeggia e già rimbalza tra le mura della stanza.

Ma negli occhi del monello brilla luce strana e curiosa,

pensa forse a qualche dispetto eppure è fermo e nulla osa.

A un certo punto e all’improvviso gli si illumina sino il viso

e tende impavido una mano regalando un gran sorriso.

Interdetto Formaggino la mano guarda con sospetto,

non convinto non si fida del bel gesto del bulletto.

Ma di getto segue il cuore e un istinto forte e antico

Formaggino stringe la mano e il monello ha un nuovo amico.


                     



Leggenda e immagini dal web 
Filastrocca di Vivì




lunedì 23 ottobre 2023

Pandagian e la nascita delle lucciole

 






Un’antica leggenda indonesiana narra di una splendida fanciulla che amava sognare e amava la danza. Questa giovane donna si chiamava Pandagian e viveva in un villaggio con i genitori, i nonni e un fratello. La famiglia viveva in una capanna in cui era possibile accedere soltanto con una scala intrecciata con i giunchi.

Tutte le sere Pandagian si ritrovava con gli amici in una radura e ballava e cantava fino al sorgere del sole.

Esausta ma felice tornava a casa attenta a non destare il padre che sapeva contrario a questa sua passione per la danza.

A lungo andare, però, il padre si accorse delle sue assenze e, esasperato dai ripetuti ritardi, le proibì non solo di danzare ma addirittura di uscire.

Pandagian rimuginò tutto il giorno sull’ordine ricevuto ma, giunta la sera dopo, non seppe resistere al richiamo della musica che avvertiva giungere dalla radura e, ignorando il divieto del padre uscì per incontrarsi con gli amici.

Scoperta l'ennesima disubbidienza l'uomo si infuriò e ordinò al figlio maggiore di ritirare la scala di giunchi in modo da impedire il rientro della ragazza nella capanna.


Ignara di quanto stava avvenendo Pandagian continuò a danzare sognando a occhi aperti e ammirando il cielo trapuntato di stelle. A un certo punto le parve anche di vedere Riamasan, il principe della notte, che le sorrideva solcando il cielo sul suo carro d’argento.

Quando all’alba tentò di rientrare e si accorse della mancanza della scala intuì che suo padre la stava punendo e si disperò lanciando richiami e supplicandolo di permetterle di rientrare. Nessuno dei familiari le diede ascolto e Pandagian, ormai in preda alla malinconia rifletté sul modo di farsi perdonare ma anche che, da lì in poi, non avrebbe più potuto danzare.

Quel pensiero le procurò un immenso dolore e per distrarsi si mise ad ammirare il cielo e a sognare di poter danzare tra le stelle con il bel principe della notte.

Fu in quel momento che vide scendere dal cielo una fune d’argento a cui era assicurata una seggiola d’oro. Incredula Pandagian tentennò, un po' incerta e un po' spaventata, ma poi ruppe gli indugi e vi si sedette. La sedia iniziò la risalita e solo allora la ragazza intuì che Riamasan aveva percepito le sue preghiere e l’aveva accontentata.

Quando la sedia arrivò all’altezza della veranda Pandagian urlò il suo ultimo saluto alla famiglia: «Madre! Nonni! Fratello! Me ne vado per sempre! Addio padre mio!»

Inutilmente il padre e la sua famiglia tentarono di convincerla a restare promettendo, addirittura, che le avrebbero concesso di danzare quanto più le piaceva. Pandagian ormai aveva deciso di lasciare la terra per il cielo e di realizzare così tutti i suoi sogni.

In alto, tra le stelle trovò ad attenderla Riamasan, bellissimo e sorridente, proprio come lei lo aveva visto nei suoi sogni.

«Benvenuta» - le disse il principe incantato dalla grazia e dalla bellezza della giovane donna - «Ti ho ammirata a lungo mentre danzavi leggiadra e leggera come una foglia nel vento e ho avvertito il tuo grande desiderio di volteggiare tra le stelle. Se davvero sei convinta potrai farlo sposandomi e condividendo con me questo regno così immenso e luminoso.» 

Pandagian accettò con tutto il cuore e i due giovani vissero un periodo molto felice tra le stelle.

Accadde che un giorno, nel sorvolare le acque argentine di un fiume, la giovane venne assalita da una gran voglia di nuotare e, senza avere l’accortezza di avvertire il marito, si tuffò godendo della frescura e della limpidità di quelle acque che scorrevano tranquille. Alla fine, esausta si sdraiò sull’erba e si addormentò.

Purtroppo, il principe del sole, fratello maggiore di quello delle stelle, invidioso di tutto ciò che di bello apparteneva o che si era conquistato Riamasan, scagliò un dardo di fuoco diritto al cuore della giovane dormiente.

Pandagian morì e furono le stelle stesse che, addolorate, portarono la brutta notizia al marito.

Riamasan accorse accanto al corpo della fanciulla e si disperò, piangendo un fiume di lacrime lucenti. Quando infine si calmò fece un gesto verso il cielo e, in quel medesimo istante, il corpo di Pandagian svanì e al suo posto comparvero tante stelle.

Il principe le scagliò tutte nel cielo, tutte tranne una, la più bella e la più splendente che contemplò tra le mani. 

Riamasan l’ammirò a lungo finché gli parve d’intravedere il sorriso splendente della giovane moglie. In quel momento rammentò le suppliche del padre e della famiglia a rimanere sulla terra e allora frantumò la stella in mille e più pezzi e le scagliò sulla terra.  «Trovate i suoi genitori e brillate portando il suo ricordo in eterno!» ordinò.

I minuscoli pezzi luccicanti si trasformarono in lucciole intermittenti e, quando quella  stessa sera i genitori  ne notarono la danza intorno alla capanna, si commossero, associando quel volo spettacolare alla loro figliola che danzava per loro.



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lunedì 27 marzo 2023

La storia del leprotto di Pasqua di Rudolf Steiner

 





C’erano una volta un papà e una mamma leprotto che avevano sette piccoli leprottini e non sapevano davvero chi tra i figli potesse diventare il leprotto di Pasqua. Allora la mamma sistemò sette uova colorate in un cestino e il papà radunò i figlioli poi, disse al primo: «Scegline uno e portalo nel giardino della Grande Casa dove abitano tanti bambini.»

Il leprotto scelse l’uovo d’oro e corse nel bosco attraversò un ruscello, quindi, uscì dal bosco correndo per un prato e giungendo ai confini della casa, ma lì trovo il grande cancello chiuso e dovette saltare. Quel salto fu così alto, che l’uovo cadde e si ruppe in mille pezzi. Quello non era certo il vero leprotto di Pasqua.

Poi toccò al secondo che prese l’uovo d’argento e corse nel bosco attraversò il ruscello. Correndo per il prato venne avvistato dalla gazza ladra che gli gridò: «Dammi a me l’uovo! Dammelo a me e ti regalerò una moneta d’argento!» Ma prima che il leprotto se ne accorgesse la gazza gli aveva già rubato l’uovo portandolo nel suo nido.

Nemmeno il secondo leprotto poteva essere quello di Pasqua.

Ora toccava al terzo, che prese l’uovo di cioccolato e corse nel bosco attraversò il ruscello e incontrò uno scoiattolo, che scendeva saltellando da un abete. Quando vide l’uovo lo scoiattolo strabuzzò gli occhi e domandò: «Ma è buono quell’uovo?»

«Non lo so!» rispose il leprotto «Io lo devo portare ai bambini che abitano nella Grande Casa!»

«Lasciamelo provare!» lo pregò lo scoiattolo ed entrambi iniziarono a leccare il cioccolato, finché non rimase più nulla.

Quando il leprottino tornò a casa mamma leprotto lo tirò affettuosamente per la barbetta ancora sporca di cioccolato e gli disse: «Nemmeno tu sei il leprotto di Pasqua.»

Ora toccava al quarto che prese l’uovo chiazzato e corse nel bosco e arrivò al ruscello salendo su un ramo per guardare il suo riflesso nell’acqua. Purtroppo, l’uovo gli sfuggì di mano cadde e si ruppe. Nemmeno lui poteva essere il leprotto di Pasqua.

Così toccò al quinto che prese l’uovo giallo ma non arrivò mai al ruscello perché prima incontrò la volpe che gli disse: «Su, vieni nella mia tana che mostriamo ai miei volpacchiotti questo bell’uovo!» Il leprotto accettò l’invito ma i piccoli della volpe iniziarono a giocare con l’uovo fino a che si ruppe. Il leprotto tornò a casa con le orecchie basse e nemmeno lui era quello di Pasqua.

Il sesto scelse l’uovo rosso e corse nel bosco dove incontrò un altro leprotto e, posato l’uovo sul terreno iniziò ad azzuffarsi e a darsi violente zampate, fino a che lo sfidante si convinse fosse meglio andarsene. Quando il leprotto cercò il suo uovo rosso lo trovò, purtroppo, ridotto in mille pezzi. Anche lui non poteva essere il vero leprotto di Pasqua.

Alla fine, toccò al più piccolo della famiglia che scelse l’uovo blu e corse nel bosco. Per la via incontrò un altro leprotto ma lo lasciò passare, quindi, incontrò la volpe ma lui continuò la sua corsa e arrivò al ruscello e con alcuni salti lo attraversò passando sul tronco dell’albero. Incontrò lo scoiattolo, ma ignorò anche lui proseguendo fino al prato. Quando la gazza ladra strillò gli rispose: «Non mi posso fermare! Non mi posso fermare!» e corse ancora fino al cancello della Grande Casa trovandolo chiuso. Allora lo saltò con un balzo e depose l’uovo nel nido di frasche e fiori preparato dai bimbi.

Poco dopo i bambini uscirono di corsa cercando in tutti gli angoli del giardino e, trovando l’uovo, corsero felici da mamma e papà.

Il leprottino era rimasto in attesa in silenzio e ammirò felice e contento il ritrovamento dell’uovo.

Lui era il vero leprotto di Pasqua perché aveva dimostrato una grande qualità: la forza di volontà! Difatti non si era lasciato distrarre dalle parole; aveva superato ogni ostacolo e aveva portato a termine la sua missione, perché era quello che aveva desiderato sin dal primo momento. Morale della favola mai dubitare di potercela fare e impegnarsi con tutte le energie per portare a termine il compito che ci si è prefissati. 



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sabato 18 marzo 2023

La leggenda della pentola d’oro e l’arcobaleno

 







Il 17 marzo, in Irlanda, si celebra la festa di San Patrizio e molte persone lasciano un bicchiere di latte sul davanzale della finestra, indossano qualcosa di verde, bevono birra e mettono un mazzolino di trifogli nel taschino. Questi elencati sono tutti simboli che caratterizzano il folletto più scherzoso e più dispettoso, soprattutto con gli avari e con i ladri.

Una leggenda irlandese narra la storia di un folletto custode di un immenso tesoro. Il Leprecauno, un buffo ometto dal caratteristico cappello verde, sarebbe il ciabattino delle fate e ogni volta che compare un arcobaleno corre a nascondere il tesoro che il suggestivo arco indicherebbe alla fine.

Esiste un'altra versione di questa leggenda che narra che alla fine di ogni arcobaleno sia nascosta una pentola d'oro custodita da uno gnomo.

In uno di questi racconti straordinari si favoleggia di un contadino chiamato Barry, proprietario di una fattoria con una serie di gravi problemi da risolvere. 

 

Un giorno, mentre era al lavoro tra i campi, l’uomo venne fermato da un folletto che si lamentava di essere diventato troppo vecchio per risalire il sentiero scosceso che conduceva sulla cima di un monte, laddove, gli confessò,  era custodita una pentola colma di oro.

Il contadino si incuriosì e offrì il suo aiuto all'anziano folletto, che poi lo ricompensò con una parte dell'oro.

Al suo ritorno al villaggio, Barry commise l’errore di confidare quanto gli era accaduto a un amico, che si recò subito sulla montagna alla ricerca della pentola e dell'oro.

Ma lo gnomo si arrabbiò tanto da vendicarsi distruggendo la fattoria di Barry.



Intorno al fenomeno suggestivo dell'arcobaleno sono nate alcune superstizioni. Nella prima si favoleggia che se per quarant'anni non se ne vede uno la fine del mondo sarebbe vicina. Quando invece tra i sette colori prevale il rosso, si prevede una buona annata per il vino; se invece prevale il giallo la stagione sarà favorevole per il grano e se prevale il verde l'annata sarà propizia per la raccolta delle olive.

 

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domenica 26 febbraio 2023

La leggenda del soffione

 






Guardate le mie foglie dentellate,

soffiate le lancette del soffione

guardate tra le siepi le mie ondate,

guardate il prato, il sentiero,

guardatemi in giardino allegro e fiero!

Raccoglietemi pure: io cresco ancora,

senza chiedere permesso né scusarmi,

che fate con le vostre zappe allora?

Non riuscirete mai a estirparmi!

Nessuno mi può fare impressione

perché io sono il Dente di Leone!

Poesia tratta dal libro “Le fate dei Fiori” di Cecily Mary Barker.

 

Il tarassaco, altrimenti detto Dente di Leone, è una pianta che cresce spontanea nei prati e che produce un fiore dello stesso colore del sole. Nel momento della sfioritura i semi si raccolgono in una sfera piumosa, detta pappo, che è molto simile a un etereo pon-pon  sempre pronto a disperdersi nell'aria al primo soffio deciso del vento. Ed è proprio per questa sua amena caratteristica che viene chiamato soffione.

In varie parti del mondo e, da tempo immemore, esiste un magico e tenero rito che consiste nel soffiare i semi, detti acheni, per disperderli al vento. Si tratta di un gioco che diverte bambini, adulti e in modo particolare gli innamorati. Infatti, è diventata popolare la credenza che soffiando sul pappo, il disperdersi di tutti gli acheni al vento, sia il presagio di tanti sogni e tante speranze realizzate.

Esiste anche una antica leggenda che nasce nelle verdi campagne irlandesi e che narra che il tarassaco sia dimora delle fate. Ai tempi in cui nasce la fiaba gnomi, elfi e fate scorrazzavano felici nei prati e nei boschi, fino a quando comparve l'essere umano con la sua smania di dominare senza avere nessun riguardo per la natura e distruggere tutto.

Di conseguenza, queste magiche creature furono costrette a fuggire cercando riparo tra le rocce, nelle grotte o nel folto dei boschi. Purtroppo, a causa degli abiti sgargianti che indossavano, le fate venivano subito individuate, inseguite e calpestate dagli esseri umani. Per questo ricorsero all'unico incantesimo che poteva salvarle e si trasformarono negli splendidi fiori gialli del tarassaco.

La leggenda narra anche che se anche fosse calpestato il fiore di non si spezzerebbe, dimostrando grande forza r robustezza, ma si rialzerebbe bello e fiero più di prima, pare proprio per la presenza delle fate nascoste nella sua corolla.

La leggenda termina con un prezioso consiglio e se vi capita di trovare un soffione raccoglietelo pure, soffiate forte e se riuscirete a far volare via tutti i semi, vi attenderà un anno ricco di sorprese e cose belle.

 

         

                    



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giovedì 9 febbraio 2023

La filastrocca di Carnevale






 Ecco percorrono la lunga via

carri che portano tanta allegria,

coriandoli a pioggia con stelle filanti

salti, capriole e danze con canti.

Sfilano maschere e deciso il passo

Scherzi con smorfie, risate e fracasso,

gaia è il corteo e per nulla marziale,

fate l’inchino a Messer Carnevale.

Che indossi la maschera di Pulcinella,

di Colombina, Pierrot o Brighella

goditi i giorni di allegria follia

senza dubbi o patemi o malinconia!


La leggenda di re Carnevale

  C’era una volta un regno governato da un sovrano chiamato Carnevale dall’indole scherzosa, altruista e molto generosa. Difatti, ogni sud...