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martedì 6 febbraio 2024

La leggenda di re Carnevale

 









C’era una volta un regno governato da un sovrano chiamato Carnevale dall’indole scherzosa, altruista e molto generosa. Difatti, ogni suddito aveva libero accesso alla fornitissima dispensa e alla cucina del palazzo reale e poteva approfittare dell’abbondanza di cibo e delle tante leccornie che i cuochi preparavano per tutta la corte.



Tra le innumerevoli persone che entravano a palazzo vi erano quelli che dimostravano affetto, simpatia e riconoscenza al loro generoso sovrano ma, purtroppo, ve ne erano alcuni che approfittavano della sua bontà fino ad arrivare a rubare portando via oltre il necessario dalla dispensa reale.

Quando il re se ne accorse, deluso e amareggiato da tanta ingratitudine, si ritirò nelle sue stanze e non volle più uscire. Iniziò a cibarsi in modo insano e smisurato, tanto, che il suo girovita gonfiò come un pallone e alla fine, il re si ammalò.



Durante la sua lunga degenza si ricordò della sorella minore chiamata Quaresima e la convocò con urgenza.

Quaresima accorse al capezzale del fratello e accettò di sostituirlo alla guida del regno pretendendo in cambio la successione al trono.

Non essendo in grado di governare re Carnevale acconsentì all’assurda richiesta, ma pose lui stesso una condizione riservandosi tre giorni di governo goliardico e gioioso.



Quaresima dovette cedere e, da allora, festeggiamo gli ultimi giorni di Carnevale con abbondanza di cibi, dolciumi e tanta allegria scandita da lunghe sfilate di maschere su carri allegorici, canti, danze, coriandoli e stelle filanti.

                                             


Immagini e leggenda dal web rielaborata da Vivì

domenica 4 febbraio 2024

La leggenda di Arlecchino

 


       

Questa leggenda narra la storia di un bambino poverissimo chiamato Arlecchino. Il piccolo era molto buono e socievole e frequentava la scuola con profitto. Nonostante le privazioni dovute alla povertà della famiglia era sempre allegro e di compagnia.

Un giorno la sua maestra organizzò una festa per il Carnevale e propose agli alunni di vestirsi in maschera. I ragazzini, entusiasti dell’idea, iniziarono a fantasticare sui loro costumi e ognuno descrisse il suo sempre più bello, originale e divertente rispetto a quello dei compagni.

                    

Soltanto Arlecchino non partecipò all’allegra atmosfera venutasi a creare e se ne rimase in disparte taciturno e amareggiato. I compagni se ne resero subito conto e vollero conoscere il motivo di quell’improvvisa tristezza.

«Io non posseggo un costume e non potrò mai partecipare alla festa!» rispose con gli occhi velati di lacrime.  

       


In quella scuola tutti amavano e apprezzavano l’indole gioiosa di Arlecchino e la maestra propose ai suoi alunni di donare un pezzo di stoffa al compagno in modo, che si potesse ricavarne un costume. Ancora una volta i ragazzini si dimostrarono entusiasti e ognuno portò in dono un lembo avanzato dalla lavorazione del proprio costume.

La mamma di Arlecchino si ritrovò tra le mani una considerevole quantità di stoffa dagli svariati colori, ma non si perse di animo e lavorò tutta la notte per assemblare i pezzi.

                                                

Il giorno della festa Arlecchino si presentò con il suo costume dai tanti colori, che risultò essere il più originale, gioioso e divertente e suscitò stupore e meraviglia nei suoi compagni.

Nacque così la leggenda della maschera più colorata e allegra di tutto il Carnevale.





Leggenda e immagini dal web


mercoledì 24 gennaio 2024

Marzo e il pastorello

 


 





Sappiamo tutti quanto marzo sia un mese dispettoso e pazzerello e quanto si diverta a prendere in giro l’umanità cambiando improvvisamente umore e illudendola, prima con un cielo turchese e abbagliante di sole e, poco dopo, soffiando nembi minacciosi e rovesciando pioggia sui passanti creduloni e privi di ombrello.

Così nasce la leggenda di marzo e del motivo per cui ora abbia trentuno giorni mentre all’inizio ne aveva trenta.

Una mattina di primavera marzo si aggirava per le strade alla ricerca di qualche malcapitato da prendere in giro e il caso volle che incontrasse un pastorello alla guida del suo gregge di pecore.

«Buongiorno, amico mio. Dimmi, un po’ in quale pascolo hai intenzione di portare i tuoi animali?»

Il giovane pastorello soppesò con uno sguardo critico lo sconosciuto che lo chiamava amico senza averlo mai visto, ma decise di rispondere lo stesso: «Promette di essere una bella giornata, così oggi porto le mie pecore sul monte.»

«Fai molto bene, perché il cielo è sereno e il sole già caldo. Ti auguro una gran bella passeggiata.» Marzo lo salutò, tentando di nascondere il sorriso sornione salito alle sue labbra. Ma il suo tentativo non riuscì del tutto: al pastorello non sfuggì il tono mellifluo e lo strano sorrisetto, che lo insospettirono. Il dubbio che marzo volesse fargli uno scherzetto lo convinsero a cambiare itinerario e, invece che verso il monte, il pastorello si diresse ai pascoli della vallata.

Quella sera marzo fece in modo d’incontrarlo di nuovo e volle sapere com’era andata la sua giornata.

«Bene» rispose il giovane con un gran sorriso: «Sono stato a valle e la giornata era splendida!»

Il volto del dispettoso si oscurò: «Ma come…mi avevi detto che andavi sul monte!» protestò con tono alterato.

Il pastorello fece spallucce: «Ho solo cambiato idea. Al monte ci andrò un’altra volta. Oggi mi sono divertito talmente, che domani tornerò a valle» rispose, domandandosi però perché l’altro se la prendesse tanto.

Marzo ingoiò la rabbia e nascose il suo disappunto: «Oh, bene! Mi fa proprio piacere!» commentò fingendo noncuranza, ma il pastorello percepì una nota stonata e ancora una volta ne indovinò le cattive intenzioni.  L’indomani si diresse a monte, mentre marzo impazzò con furia sulla valle con un diluvio di acqua e vento. «Così impari a mentirmi!» pensò tra sé credendo che il pastorello fosse presente.

Quella sera si incontrarono di nuovo e marzo si aspettava di ritrovare il pastorello stanco e amareggiato per la cattiva giornata, ma non gli parve particolarmente provato e volle indagare.

«Allora, com’è andata? Ti sei divertito oggi a valle?»

«Benissimo! Anche oggi è stata una giornata straordinaria! Il tempo era un incanto a monte.»

«Sei stato al pascolo montano? Ma…mi avevi detto a valle! Mi hai mentito di nuovo!» lo accusò sbraitando marzo.

Il pastorello si tolse il cappellaccio, si grattò la testa e abbozzò un sorriso confuso: «Ehm…sai io sono proprio volubile come il tempo in questa stagione e, da un momento all’altro, cambio spesso idea.»

Sentendosi deriso marzo se ne andò furioso senza nemmeno salutare e rimuginando tra sé quanto fosse difficile fare un dispetto a quel giovane impertinente.

I giorni passarono e si arrivò a fine mese. Ben presto marzo avrebbe dovuto lasciare il passo al mese successivo, ma non smise mai di fantasticare sul modo migliore di infastidire il pastorello. Ma come fare? Quel monello non era affatto stupido e nemmeno credulone! All’improvviso, venne folgorato da un’idea: si sarebbe recato da aprile e gli avrebbe chiesto in prestito un giorno che, per la verità, non avrebbe mai restituito. Naturalmente aprile non doveva saperlo!

Aprile, che era d’indole molto gentile e disponibile concesse il favore al fratellino raccomandandogli però di non eccedere con i suoi cambi improvvisi di umore.

Determinato a portare a termine il suo scherzetto marzo accettò le condizioni, salvo poi fare a modo suo. Chi mai avrebbe potuto impedirglielo?

La mattina seguente incrociò ancora la strada del pastorello che, interdetto, gli domandò: «Sei ancora qui? Ma non avresti dovuto terminare ieri il tuo turno?»

Marzo fece spallucce: «Ho deciso di restare un giorno in più ma tu, dimmi: «Dove hai intenzione di recarti oggi?»

Il pastorello, convinto di poter ingannare ancora quel mese truffaldino rispose candidamente: «Oggi andremo a valle!»

«Bene! Ancora una volta ti auguro una buona giornata!»

Naturalmente, il pastorello si diresse a monte e questa volta sopraggiunse il maltempo. Vento, fulmini e grandine si scatenarono su lui e sul gregge e il giovane fu costretto a cercare con urgenza un riparo, quindi, imprecò contro se stesso, la sua dabbenaggine e l’astuzia dimostrata da marzo, che lui aveva sottovalutato.

La leggenda dei trentun giorni di marzo termina così con un soffio impetuoso di vento accompagnato da un lampo e da un tuono sonoro.

Ricerca effettuata sul web 

immagini dal web 

giovedì 4 gennaio 2024

La vera storia della Befana

 








In un villaggio, non molto distante da Betlemme, viveva una giovane donna che si chiamava Befana. Non era brutta, anzi, era molto bella e aveva parecchi pretendenti. Però aveva un pessimo caratteraccio. Era sempre pronta a criticare e a parlare male del prossimo. Cosicché non si era mai sposata, o perché non le andava bene l’uomo che di volta in volta le chiedeva di diventare sua moglie, o perché l’innamorato – dopo averla conosciuta meglio – si ritirava immediatamente.

Era, infatti, molto egoista e fin da piccola non aveva mai aiutato nessuno. Era, inoltre, come ossessionata dalla pulizia. Aveva sempre in mano la scopa, e la usava così rapidamente che sembrava ci volasse sopra. La sua solitudine, man mano che passavano gli anni, la rendeva sempre più acida e cattiva, tanto che in paese avevano cominciato a soprannominarla “la strega”. Lei si arrabbiava moltissimo e diceva un sacco di parolacce. Nessuno in paese ricordava di averla mai vista sorridere. 

                                            

Quando non puliva la casa con la sua scopa di paglia, si sedeva e faceva la calza. Ne faceva a centinaia. Non per qualcuno, naturalmente! Le faceva per se stessa, per calmare i nervi e passare un po’ di tempo visto che nessuno del villaggio veniva mai a trovarla, né lei sarebbe mai andata a trovare nessuno. Era troppo orgogliosa per ammettere di avere bisogno di un po’ di amore ed era troppo egoista per donare un po’ del suo amore a qualcuno. E poi non si fidava di nessuno. Così passarono gli anni e la nostra Befana, a forza di essere cattiva, divenne anche brutta e sempre più odiata da tutti. Più lei si sentiva odiata da tutti, più diventava cattiva e brutta.

Aveva da poco compiuto settant’anni, quando una carovana giunse nel paese dove abitava. C’erano tanti cammelli e tante persone, più persone di quante ce ne fossero nell’intero villaggio. Curiosa com’era vide subito che c’erano tre uomini vestiti sontuosamente e, origliando, seppe che erano dei re. Re Magi, li chiamavano. Venivano dal lontano oriente, e si erano accampati nel villaggio per far riposare i cammelli e passare la notte prima di riprendere il viaggio verso Betlemme. Era la sera prima del 6 gennaio. Borbottando e brontolando come al solito sulla stupidità della gente che viaggia in mezzo al deserto e disturba invece di starsene a casa sua, si era messa a fare la calza quando sentì bussare alla porta. Lo stomaco si strinse e un brivido le corse lungo la schiena. Chi poteva essere? Nessuno aveva mai bussato alla sua porta. Più per curiosità che per altro andò ad aprire. Si trovò davanti uno di quei re. Era molto bello e le fece un gran sorriso, mentre diceva: “Buonasera signora, posso entrare?”. Befana rimase come paralizzata, sorpresa da questa imprevedibile situazione e, non sapendo cosa fare, le scapparono alcune parole dalla bocca prima ancora che potesse ragionare: “Prego, si accomodi”.

Il re le chiese gentilmente di poter dormire in casa sua per quella notte e Befana non ebbe né la forza né il coraggio di dirgli di no. Quell’uomo era così educato e gentile con lei che si dimenticò per un attimo del suo caratteraccio, e perfino si offrì di fargli qualcosa da mangiare. Il re le parlò del motivo per cui si erano messi in viaggio. Andavano a trovare il bambino che avrebbe salvato il mondo dall’egoismo e dalla morte. Gli portavano in dono oro, incenso e mirra. “Vuol venire anche lei con noi?”. “Io?!” rispose Befana. “No, no, non posso”. In realtà poteva ma non voleva. Non si era mai allontanata da casa.

Tuttavia, era contenta che il re glielo avesse chiesto. “Vuole che portiamo al Salvatore un dono anche da parte sua?”. Questa poi… Lei regalare qualcosa a qualcuno, per di più sconosciuto. Però le sembrò di fare troppo brutta figura a dire ancora di no. E durante la notte mise una delle sue calze, una sola, dove dormiva il re magio, con un biglietto: “per Gesù”. La mattina, all’alba, finse di essere ancora addormentata e aspettò che il re magio uscisse per riprendere il suo viaggio. Era già troppo in imbarazzo per sostenere un’altra, seppur breve, conversazione.

                               

Passarono trent’anni. Befana ne aveva appena compiuti cento. Era sempre sola, ma non più cattiva. Quella visita inaspettata, la sera prima del sei gennaio, l’aveva profondamente cambiata. Anche la gente del villaggio, nel frattempo, aveva cominciato a bussare alla sua porta. Dapprima per sapere cosa le avesse detto il re, poi pian piano per aiutarla a fare da mangiare e a pulire casa, visto che lei aveva un tale mal di schiena che quasi non si muoveva più. E a ciascuno che veniva, Befana cominciò a regalare una calza. Erano belle le sue calze, erano fatte bene, erano calde. Befana aveva cominciato anche a sorridere quando ne regalava una, e perciò non era più così brutta, era diventata perfino simpatica.

Nel frattempo, dalla Galilea giungevano notizie di un certo Gesù di Nazareth, nato a Betlemme trent’anni prima, che compiva ogni genere di miracoli. Dicevano che era lui il Messia, il Salvatore. Befana capì che si trattava di quel bambino che lei non ebbe il coraggio di andare a trovare.



Ogni notte, al ricordo di quella notte, il suo cuore piangeva di vergogna per il misero dono che aveva fatto portare a Gesù dal re magio: una calza vuota… una calza sola, neanche un paio! Piangeva di rimorso e di pentimento, ma questo pianto la rendeva sempre più amabile e buona.

Poi giunse la notizia che Gesù era stato ucciso e che era risorto dopo tre giorni. Befana aveva allora 103 anni. Pregava e piangeva tutte le notti, chiedendo perdono a Gesù. Desiderava più di ogni altra cosa rimediare in qualche modo al suo egoismo e alla sua cattiveria di un tempo. Desiderava tanto un’altra possibilità ma si rendeva conto che ormai era troppo tardi.

Una notte Gesù risorto le apparve in sogno e le disse: “Coraggio Befana! Io ti perdono. Ti darò vita e salute ancora per molti anni. Il regalo che tu non sei venuta a portarmi quando ero bambino ora lo porterai a tutti i bambini da parte mia. Volerai da ogni capo all’altro della terra sulla tua scopa di paglia e porterai una calza piena di caramelle e di regali ad ogni bambino che a Natale avrà fatto il presepio e che, il sei gennaio, avrà messo i re magi nel presepio. Ma mi raccomando! Che il bambino sia stato anche buono, non egoista… altrimenti gli metterai del carbone dentro la calza sperando che l’anno dopo si comporti da bambino generoso”.

E la Befana fece così e così ancora sta facendo per obbedire a Gesù.

Durante tutto l’anno, piena di indicibile gioia, fa le calze per i bambini… ed il sei gennaio gliele porta piene di caramelle e di doni.

È talmente felice che, anche il carbone, quando lo mette, è diventato dolce e buono da mangiare.

Favola di don Gianpaolo Perugini


martedì 2 gennaio 2024

Fiocca la neve

 







Lemme fiocca la neve e tutto imbianca,

paesaggio ameno allo sguardo spalanca.



Danzano in aria gli eterei fiocchi

e fluttuano lievi per la gioia degli occhi.


Volteggiano intorno come bianche farfalle

in un girotondo dai monti alla valle.


Pare un artista quel gelo tra i rami

scolpisce, intreccia e appende ricami.


Filatsrocca di Vivì Coppola

immagini dal web

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