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sabato 29 febbraio 2020

Alizaar dalla lanterna magica




Soave s’appresta, creatura alata
regina silvestre e del dove incantato
dal canto ammaliante
ancor più di sirene,
portatrice e custode di luce e di bene,
  Custodir ‘na lanterna come fosse tesoro 
    assolta come missione e non come lavoro,
      con mille lucciole a farle da compagnia,
         intermittenti e briose a illuminarle la via.
Quando sorge la luna, ch’ bella come nessuna,
e riflette laggiù, nella verde laguna
la fata prepara l’arcano rituale,
movenze magiche come fosse vestale.
Nel cerchio di pietre sono alte le fiamme,
le lucciole splendono pari preziose gemme,
il bosco si desta dal suo disincanto
prigioniero di luce e di quel magico canto.
I rami e le fronde le rendono omaggio
chinando le chiome al suo passaggio
i fiori schiudono le delicate corolle,
argentino fruscio di acque vien dalla polla.
In ascolto è la fata ed è molto attenta,
a coglier nell'aria di cucciolo il pianto,
e seppur sarà flebile il primo vagito
è pronta una lucciola a lui già destinata.
Scrutano gli insetti in alto nel cielo,
laddove le stelle stendono mitico velo
pronte a far luce al cucciolo nato
ch'è da quel momento sarà vieppiù illuminato.
Cipria lunare e profumo di stelle,
intermittenti le lucciole sono sempre più belle
e sorridono ai bimbi di tutto il mondo
con loro pronte a  fare un girotondo.



Filastrocca pubblicata sul sito Scrivere dal 28/06/2010

venerdì 28 febbraio 2020

Chico, l'ornitorinco che non sapeva nuotare




Chico nacque in un tiepido giorno di primavera, in un nido vicino al fiume, da un uovo covato con amore e con cura da mamma papera.
Qualcuno mormorerà:” Che caso strano! Un ornitorinco? Che nome difficile! E che razza di animale è? E come è possibile che sia nato in un nido di papere?”
Ma allora è una papera? Ma no! Ha solo il becco e le zampette palmate da papera, il resto potrebbe essere... Bah! Chissà cos’è!
In realtà, ben poche persone al mondo sanno a che genere appartenga il nostro cucciolo. Qualche scienziato, forse. Del resto, il suo aspetto è talmente strano che forse è stato proprio questo a procurargli tanti guai.
Comunque, la storia di Chico inizia con le papere per puro caso.
Il nido in cui il suo uovo venne deposto venne fu assalito dai predatori in un momento di assenza della mamma e il piccolo si salvò solo perché l’ uovo che lo conteneva, nella confusione del momento, rotolò a qualche metro di distanza e rimase nascosto nell’ erba alta.
Purtroppo però, rimase coperto anche alla vista della mamma, che al suo ritorno trovò soltanto i gusci vuoti dei piccoli, che aveva lasciato per andare a nutrirsi. Ebbene, non trovando alcun uovo da covare, mamma ornitorinco molto dispiaciuta, si allontanò per andare a preparare un altro nido, non immaginando neanche di lasciare così l’unico uovo rimasto intero, in balia del mondo.
Fortuna volle che nei pressi aveva fatto il nido anche una famiglia di papere, e dopo poco tempo, passando da quelle parti, mamma papera scorgendo l’uovo abbandonato, pensò bene di portarlo con sé e di accudirlo, covandolo insieme agli altri che già aveva deposto.
E venne il giorno della schiusa.

Per primo venne al mondo Chico, accolto con tanto affetto e cure dalla mamma. Affetto e cure che il pulcino si godette felicemente per qualche giorno da solo, in quanto le altre uova ci misero un po’ più tempo a schiudersi.
Mamma papera non s’ accorse nemmeno della stranezza e della bruttezza del pulcino o forse, l’ amò ancor di più per via della sua diversità e quando dopo pochi giorni nacquero i paperotti, la sua felicità arrivò alle stelle.
Ci vollero solo pochi giorni prima che i pulcini fossero in grado di seguirla fino alle sponde del fiume. Anche Chico, credendosi un papero, si metteva in fila e camminava, sforzandosi di sbatacchiare la minuscola coda un po’ di qua e un po’ di là nel tentativo di imitare i fratellini.
Ma giunti sulla sponda iniziarono i guai. I paperotti, seguendo gli insegnamenti della mamma e, dopo i primi comprensibili tentennamenti, scesero con accortezza nell’acqua e, seppur goffamente, cominciarono a galleggiare, pinneggiando con le zampette palmate.
Per Chico, invece, fu un vero dramma. L’istinto gli suggeriva che non era quello che gli stava mostrando la madre il modo adatto per lui di entrare nell’ acqua, ma la papera insisteva e Chico avrebbe tanto voluto accontentarla. Il piccolo provò e riprovò a immergere le zampette nell’ acqua, ma il corpo sembrava bloccato e i tentativi fallirono.
Quando la papera tentò di convincerlo con le maniere forti, Chico che era ormai terrorizzato, s’ impuntò, pianse e si disperò, così che la madre fu costretta a rinunciare.




Mamma papera rimase un po’ delusa da quell’atteggiamento, ma si avviò decisa con il resto della piccola truppa, che la seguiva senza mai perdere di vista il pennacchio della codina materna.
L’ ornitorinco rimase solo sulla riva e pur continuando a provare e a riprovare, per quel giorno non riuscì mai a galleggiare come gli altri paperotti.  
Le cose andarono avanti così per alcuni giorni, finché Chico finalmente riuscì con gran fatica a galleggiare, anche se solo per pochi attimi.
Esultarono tutti!   Tuttavia, a parte quell’ insignificante risultato, non ci furono altri miglioramenti e la mamma, preoccupatissima, cercò consiglio presso le sue amiche più anziane e sicuramente con più esperienza.
« Babetta» le suggerì una papera nell’ osservare con una smorfia di disgusto il piccolo « Dovresti abbandonare quel mostriciattolo al suo destino. Con quel corpo così goffo non imparerà mai a stare a galla.» sentenziò con sufficienza.
« Avresti dovuto lasciarlo alla nascita!» esclamò un’ altra con disprezzo.
La più anziana, che tra l’ altro sembrava anche la più sensibile, si limitò a osservare con attenzione il pulcino che, crescendo metteva in mostra spiccate differenze rispetto agli altri paperotti.
« Non sembra nemmeno figlio tuo, Babetta!» le disse infine. In realtà, mamma papera non aveva confidato a nessuno che quel piccolo era un trovatello.


“ Ormai a che serve dirlo!” pensò tra sé, mentre con un moto di stizza si rivolse alle amiche presuntuose: « I figli non si abbandonano mai! Nemmeno se sono creature… differenti.» concluse esitando. Non riusciva nemmeno lei a trovare un termine per definire quel suo figliolo adottivo. 
«È un essere piccolo e indifeso. Se agissi come suggerite voi, potrebbe rimanere vittima di qualche predatore.» mormorò infine con profonda tristezza.
« No! Non lo abbandonerai, ma forse potremmo chiedere un consiglio a Mastro Gufo sul modo migliore di allevarlo.»
Era l’ ultima speranza e mamma papera, ringraziando l’ amica per il suggerimento, si mise subito alla ricerca del gufo.
Il gufo in questione, da tutti considerato un grande saggio, abitava su un albero del bosco nelle vicinanze e forse, avrebbe potuto trovare una soluzione.
Mamma papera si diresse con il suo cucciolo presso l’albero indicatole e lanciò più volte un richiamo.
È risaputo da tutti che il gufo è un animale che di giorno preferisce dormire, perché in genere le ore notturne le passa cacciando, cosicché, infastidito dai richiami insistenti, rispose bubbolando un borbottio di protesta.
Mastro gufo se ne stava appollaiato su un ramo vicino, invisibile, perché ben mimetizzato tra le fronde; dalla sua postazione poteva tenere tutto sotto controllo, senza essere notato. Dunque fu solo la curiosità che lo indusse ad aprire un occhio e soltanto per sbirciare l’ importuno che procurava tanto fracasso, ma alla vista del cucciolo fu costretto a spalancarli entrambi per la sorpresa.
In tutta la sua vita non gli era mai capitato di vedere un animale tanto strano, eppure tentò di dissimulare il suo sconcerto e con voce burbera e altera domandò:
« Allora papera, perché mi disturbi?»

Babetta, un po’ intimidita dal tono e dall’ aureola d’importanza che aleggiava attorno a quella figura, con voce timida espose il suo problema.
« Sono venuta da te per via di questo mio figliolo. Non vuole saperne di nuotare come fanno tutti gli altri della nidiata e io non so più cosa fare. Ho bisogno di aiuto.»
« Il tuo figliolo? Uhm… questa cosa è alquanto strana. Non ti assomiglia affatto!»
« Lo so che non mi somiglia, ma questo non importa. Chico, ormai, è uno dei miei paperotti e io lo amo come amo gli altri» rispose, stringendolo al fianco.
L’ ornitorinco se ne stava buono in ascolto e cercando di capire il più possibile. Ma era ancora troppo piccolo per intuire il senso dei discorsi degli adulti. Riusciva soltanto a percepire il grande affetto che la sua mamma provava per lui e questo gli colmava il cuore di gioia e gratitudine.
Il gufo scrollò la testa, quindi gonfiando il petto, assunse un atteggiamento professionale e come un oracolo, disse:
« Lascia a me questo cucciolo, studierò che cosa è portato a fare e agirò di conseguenza.»
Mamma papera sgranò gli occhi: « Lasciartelo? Ma io…» balbettò confusa e spaventata dall’ idea che anche il gufo le stesse suggerendo di abbandonare il suo piccolo.
« Se vuoi che me ne occupi, devi proprio sacrificarti. Ma comprendo bene che per te e per lui possa essere molto doloroso separarvi, tuttavia non vedo altro modo.»
Babetta, con il cuore ormai stretto in una morsa, attirò Chico sul suo petto sussurrandogli tante paroline dolci e tentando di mitigare, in qualche modo, il momento straziante della separazione.
Ma non ci fu verso. Chico intuì al volo le intenzioni della madre e si disperò.
Fu un’altra tragedia che durò per parecchi minuti, finché al gufo, stanco degli strepiti e delle urla, venne la buona idea di raccontare una delle sue storie misteriose e intriganti.
Nell’ ascoltare col becco aperto e lo sguardo sognante la novella del gufo, Chico dimenticò tutto il resto, cosicché mamma papera ebbe modo di allontanarsi non vista.
Non fu certo facile, ma per il piccolo ornitorinco cominciò una nuova vita con il volatile, che gli insegnò parecchie cose sulle piante e sugli abitanti del bosco.


Chico imparava presto e bene, ma cominciava anche a fare tante domande al suo maestro, che dopo poco tempo pensò che forse era il caso di affidare a un’altra famiglia quel cucciolo così intelligente e intraprendente.
Mastro Gufo si ricordò di un’ allegra combriccola di lontre che aveva costruito la sua tana poco lontano e, quello stesso giorno con il piccolo Chico, si diresse verso il fiume.
“ Bene!” si disse, vedendoli sguazzare tutti insieme, gioiosamente nelle acque “ Almeno li trovo ben disposti!”
Aspettò con pazienza che qualcuno si accorgesse della sua presenza; in un’ altra occasione, non l’ avrebbe mai fatto, ma qui si trattava di risolvere con astuzia e con prudenza un caso che riteneva difficilissimo. Era quindi meglio mostrarsi umili e gentili.
Finalmente papà lontra si accorse di loro e si avvicinò alla riva.
Lo strano cucciolo attirò subito la sua attenzione e fu naturale che anche papà lontra si domandasse a che genere appartenesse.
Mastro Gufo prese la parola, salutando cordialmente:
« Salute a te, mastro Lontra! Ti porto una notizia che ha dell’incredibile!»
La lontra guardò con sospetto quel pallone gonfiato di un gufo, che in genere sosteneva sempre un atteggiamento arrogante verso gli altri e che, in quel momento, sembrava una creatura estremamente garbata.
« Uhm… Non m’ inganni affatto con quel fare cortese, per cui bando ai rigiri di parole e vieni subito al sodo, mastro gufo.»
Il pennuto trasalì, ma continuò, sperando di essere più convincente:
« Oh, sì! Hai ragione! Non ha senso sprecare tanto fia… ehm… fare tanti convenevoli.» si corresse. « Ebbene, ho trovato questo cucciolo straordinario, ma orfano, che tanto vi assomiglia, e ho pensato di portarlo da voi, perché possiate accoglierlo nella vostra tana, accudirlo e insegnargli a nuotare.»



Papà lontra non ebbe tempo di ribattere che non sembrava poi molto rassomigliante alla loro specie quel cucciolo, perché nel frattempo anche mamma lontra si era avvicinata a Chico per annusarlo.  Ma l’ odore emanato dall’ ornitorinco non doveva essere proprio gradevole, perché una smorfia di disgusto si disegnò subito sul bel musetto della femmina.
« Ma questo cucciolo puzza da matti! Da quanto non lo lavate?»
« Lavarlo?» domandò il gufo imbarazzato. « Veramente no… il cucciolo non sa nuotare e da quando lo conosco non è mai entrato in acqua.»
Mamma lontra alzò gli occhi al cielo, con un’ espressione spazientita. « Povero piccolo!» esclamò, pensando a quanto fosse stato sfortunato ad avere un tutore come il gufo.
Nel frattempo, i piccoli di lontra avevano circondato quel cucciolo bizzarro, che se stava impacciato e intimorito ad ascoltare in silenzio.
Si sa bene che i cuccioli hanno sempre una grande voglia di giocare e ben presto Chico si ritrovò coinvolto in folli corse e vorticosi girotondi ma, quando le piccole lontre si buttarono in acqua per nuotare, rimase sulla riva a guardarli con aria triste.
A mamma lontra, che non aveva mai smesso di osservarlo, fece tanta tenerezza, quindi bastò scambiare un’occhiata con il suo compagno e il piccolo ornitorinco entrò a fare parte di quella nuova famiglia.
Mastro Gufo gongolò tra sé nascondendo a stento la soddisfazione di essere riuscito a piazzare il cucciolo e a liberarsene. Salutò la famigliola fin troppo calorosamente, promettendo che sarebbe presto tornato a vedere i progressi del piccolo.
Iniziò un periodo molto sereno per Chico che non solo aveva trovato due genitori affettuosi, ma anche tanti fratellini e sorelline, giocosi e simpatici.
Seguendo gli insegnamenti di mamma lontra e gli incitamenti dei fratellini, non fu nemmeno difficilissimo entrare nell’acqua e dopo un po’ non fu difficile nemmeno immergersi, mentre la cosa che rimaneva complicata era riemergere.
Ogni volta e a turno, ogni appartenente alla famiglia si trovò costretto a sospingerlo verso l’ alto, altrimenti Chico correva il rischio di annegare.
Ma tutto questo accadde i primi giorni.

Col passare del tempo e crescendo, l’ ornitorinco diventò il più abile nuotatore dei dintorni. Nessuno degli abitanti del fiume lo batteva in velocità e agilità. Chico imparò anche a pescare, per sé e per gli altri e quanti bei bocconcini portava all’ intera famiglia conquistandosi sempre un po’ di più la stima e l’ affetto di tutti e nessuno più fece caso al suo aspetto esteriore.
Ma un giorno, accadde una cosa incredibile. Nei pressi del fiume transitò una famiglia di ornitorinchi al completo.
Chico rimase stupito a scrutare le figure degli animali dalle sembianze tanto familiari. Ci pensò solo un attimo e poi incredulo, andò di corsa a specchiarsi nelle acque del fiume.
“ Incredibile! Loro sembrano me, e io sembro loro!” si disse, rimirando il proprio riflesso.
Mamma lontra, poco distante, sorrideva e già si stava avviando a salutare i nuovi arrivati.
Furono naturalmente i benvenuti, e vennero invitati a restare tutti insieme per un picnic. Mamma lontra raccontò loro tutta la storia del piccolo Chico e la famiglia degli ornitorinchi si commosse talmente, che si offerse subito di adottare il cucciolo.
Non si può davvero descrivere la felicità di Chico nel ritrovare finalmente una famiglia con tutte le sue caratteristiche e poi tanti fratellini e sorelline, con cui condividere nuovi giochi nell’acqua.
Ebbene, da un inizio sfortunato, nacque poi una vita avventurosa e densa di avvenimenti tra i più incredibili.
La favola del piccolo ornitorinco cresciuto con le papere, vissuto con Mastro Gufo, adottato dalle lontre e che infine ritrova i suoi simili, sta ancora facendo il giro del pianeta e Chico se ne va in giro scodinzolando orgogliosamente, con la sua coda a spatola, così come aveva visto fare a mamma papera.










                                     



Favola pubblicata sul sito Scrivere dal 11/ 02/2011
GifAnimate.com

giovedì 27 febbraio 2020

Filastrocca dei sogni di bimbo




Riccioli d’oro sopra il cuscino
dorme sereno il piccolino
sogna tranquillo tutta la notte,
luci di stelle e nuvole a frotte.

Fiocchi assai lievi danzano insieme,
mette un nasino al pupazzo di neve,
cipria stellare magica e pura

sgambetta il pupo là sulla luna.




Saetta avvampa come in un temporale.
Forse è la slitta di Babbo Natale?
Increspa boccuccia in un sorriso
perché sogna quel bimbo il suo paradiso!

Solcano il cielo graziose renne
portando cibo e gioiose strenne
ai bimbi poveri di ogni colore

sparsi nel mondo e in ogni dove.

       Vivì Coppola 



Filastrocca pubblicata in"Favolando con le stelle" Scrivere edizioni

mercoledì 26 febbraio 2020

Volano le fiabe




Narrano le fiabe di cuor fanciulli
che sfrecciano nei cieli limpidi
colmi di sogni, risa e trastulli
in un pacifico frullar di ali candide.

Parlano le favole e bisbigliano ai bimbi
con sogni che ascendono tra le stelle
e riposano tra cirri paciosi e nembi
che il vento querulo sospinge e culla.

Contano le fole di cuccioli senzienti
che allietano con gesta sorprendenti...
Infin sussurrano le fiabe esauste ninna nanne
ai bimbi  stretti al palpitar del cor di mamma.



Poesia pubblicata il 26/11/2011 sul sito Scrivere

martedì 25 febbraio 2020

Packy il cucciolo di delfino e la balena





La storia di Packy, un cucciolo di delfino rimasto orfano durante una battuta di pesca, iniziò in un modo molto triste quando lui aveva appena due giorni di vita e si ritrovò con la sua mamma intrappolato in una rete calata in fondo al mare.

Si può immaginare la disperazione di quella povera mamma, con il piccolo appena nato, prigioniera insieme a centinaia di pesci e cetacei grandi quasi quanto lei.

Mamma delfino iniziò a girare come impazzita in cerca di una via di fuga per lei e il suo piccolo ma, nonostante si affannasse e si dibattesse con tutte le sue forze contro le robuste maglie della rete. Non ci fu nulla da fare.







Esausta per i lunghi sforzi e preoccupata per il suo cucciolo pensò bene di lanciare dei richiami d’aiuto.

Con i caratteristici fischi modulati, tipici della loro specie, la femmina iniziò a emanare, nelle profondità marine, la sua disperata richiesta di soccorso.

Per sua fortuna, il padre del piccolo, rimasto nelle vicinanze, udì i suoi richiami disperati e accorse in suo aiuto.

Il delfino si rese subito conto della gravità della situazione in cui si trovava la sua famiglia, ma cosa poteva fare per aiutare la sua compagna e il suo piccolo a uscire da quella trappola?

Tentò comunque e innumerevoli volte di aprire uno squarcio nella rete sbattendovi il muso e tirando, ma le maglie erano troppo fitte e massicce e, sotto gli occhi atterriti della compagna, finì per rimanere ferito.

“Oh, se fossi stato dotato di attrezzi come il pesce martello o il pesce spada!” pensò “Allora le cose sarebbero state più semplici!”

Quell’idea improvvisa lo fulminò:

 “Il pesce spada! Ma certo!” Come aveva fatto a non pensarci prima? Aveva un amico carissimo tra i grandi pesci spada che vivevano lungo la costa, si chiamava Marlin. Lui sì che avrebbe potuto aiutarlo!                 

«Tornerò presto!» promise, lasciando a malincuore la compagna e il neonato e mettendosi alla ricerca del suo grande amico.

Anche se di genere diversi, tra il cetaceo e il pesce era nata da tempo una grande e fraterna amicizia.

Tutto era accaduto il giorno in cui il delfino salvò la vita al pesce spada.

Il grande pesce era andato a sbattere contro le eliche di un motore di una barca di passaggio ferendosi gravemente. Il delfino notò quanto l’altro fosse in gravi difficoltà e rilevò con preoccupazione la scia di sangue emessa dalla ferita. L’odore di sangue avrebbe certamente attirato il branco di squali famelici che si aggirava da quelle parti.  Decise allora d’intervenire, radunando il branco al quale lui stesso apparteneva, creando una cintura di sicurezza impenetrabile intorno al ferito e mettendo in fuga i temibili predatori.

Marlin gli dimostrò tutta la sua gratitudine promettendo di non dimenticare quel gesto solidale e di contraccambiare nel caso si fosse presentata l’occasione.

Nel ricordare quell’occasione papà delfino si domandò se Marlin avrebbe mantenuto la parola data, ma il suo dubbio si dissolse nel momento stesso in cui l’amico rispose al suo richiamo raggiungendolo.

Con voce resa accorata dallo sconforto, papà delfino gli raccontò del piccolo, della compagna e della rete che li teneva prigionieri.

«Non ti abbattere, amico mio. Vedrai che riusciremo a liberarli.» disse, cercando di risollevare il morale del delfino.

Poi Marlin chiamò a raccolta il suo branco, compresi gli amici pesci martello e tutti insieme si diressero verso la rete.  

Il gruppo impiegò pochissimo tempo ad arrivare alla rete e individuato il punto dove mamma e cucciolo erano imprigionati, iniziò il lavoro. I pesci spada presero a segare le corde assai robuste e i pesci martello a dare colpi micidiali alle nasse che tenevano insieme le reti. 

                             

Purtroppo, la trappola sembrava essere d’acciaio e, malgrado gli sforzi si aprì soltanto una piccola breccia nella rete.

Da quel minimo spazio mamma delfino riuscì a sospingere il piccolo all’esterno e a metterlo in salvo. Poi toccò a lei cercare di farsi largo nella fessura ma finì con il restare incastrata e purtroppo perse la vita soffocata.

Fu un momento davvero molto triste per tutti. Soprattutto per il delfino che guardava desolato il figlioletto. Quel papà era perfettamente consapevole che privo del latte e del calore materno, il piccolo Packy rischiava anche lui di morire.

Persino i pesci spada e i pesci martello intuirono la gravità della situazione e in quel momento guardavano il piccolo con infinita malinconia.

                                         


Packy, da parte sua, osservava il corpo della sua mamma non riuscendo a capire il perché non si muovesse più. Lanciava richiami tanto flebili da sembrare i vagiti di un neonato.

Quel pianto accorato strinse il cuore ai presenti, ma fu ancora una volta Marlin a non lasciarsi abbattere e a trovare una magnifica idea.

«Non essere triste, amico mio, che forse ho trovato una soluzione!» disse, stringendo a sé il cetaceo in un abbraccio solidale.

Il delfino lo scrutò con aria speranzosa e Marlin iniziò a esporre ciò che aveva pensato.

«Ho sentito parlare di una balenottera che è sfuggita per puro miracolo alla caccia delle baleniere. Quando il fatto è accaduto, Megan era incinta.  Pare che quel giorno si ritrovò circondata dalle barche dei pescatori e fu solo per un soffio che riuscì a sottrarsi agli arpioni che le sparavano addosso. Megan sfuggì alla caccia, ma il terrore provato e l’enorme fatica provocarono un parto prematuro. Tanto prematuro che il piccolo non si salvò.

Megan non si rassegnò e si trascinò il suo cucciolo dietro, nonostante fosse morto da molte ore. Solo quando si rese conto realmente di averlo perso per sempre abbandonò il corpo del piccolo, lasciandolo sprofondare negli abissi. Il mare riportò per giorni e giorni l'eco del suo pianto. Tutti gli abitanti del mondo marino piansero con lei e per alcuni giorni non si fece che parlare di questo fatto doloroso.»

«Perché mi racconti questa triste storia? Non è abbastanza malinconica la mia?» domandò il delfino con aria sconcertata.

«Sono venuto a sapere di quanto avvenuto a Megan da Ottavio, un polpo, che abita in una grotta nei dintorni del luogo dove è avvenuta la tragedia. È stato lui a raccontarmi che la balena si stava lasciando morire di fame per il dolore. Mi ha anche detto che ormai perdeva il latte nel mare in una lunga scia bianca. E allora perché non provare a domandarle di fare da balia al tuo piccolo?»

Papà delfino sgranò uno sguardo incredulo sul pesce: «Ma sei impazzito? Affidare il mio piccolo a una balena?»

Marlin scosse il grande testone: «Guardalo. Quanto tempo credi che possa resistere ancora senza nutrimento e senza una mamma che lo consoli?»

           

Il cetaceo osservò con tristezza il suo cucciolo ormai allo stremo e si convinse che Marlin aveva ragione.

«Tentare non costa nulla.  Speriamo solo che funzioni e che la balena, almeno per il momento, sfami il piccolo, poi si vedrà!» rispose a Marlin, partendo con l’amico alla ricerca della balena.

La trovarono, ma Megan, ancora provata dal dolore si muoveva nervosamente guardando con sospetto chiunque le si avvicinasse.

Sbatteva la coda gigantesca provocando onde colossali e un mare di schiuma ribollente. I lamenti che emetteva erano scoraggianti e nessuno osava accostarsi più di tanto.

Eppure, Packy, guidato dall'odore del latte, affamato e inconscio del pericolo che stava correndo, si avvicinò alla balena che si dibatteva nell'acqua.

Megan, da parte sua, lo guardò incuriosita e si acquietò all'istante.

Fu una grande sorpresa per tutti. Packy trovò subito la strada delle mammelle e d’istinto vi si attaccò avidamente.





Megan rimase stupita, e non fece nulla per allontanarlo. Anzi! Con dei piccolissimi e teneri colpetti dati con il muso lo incoraggiò a succhiare il latte.

Fu così che accadde il miracolo della grande balena Megan che adottò il cucciolo di delfino chiamato Packy.

Per anni si vide nel mare un delfino seguire e saltellare gioiosamente, come solo i delfini sanno fare, attorno a una balena, e per anni si parlò di questa bella storia d'amore.


                 


Favola pubblicata nel libro " Le favole di Gigagiò" da Apollo edizioni nel 2011

 


La leggenda di re Carnevale

  C’era una volta un regno governato da un sovrano chiamato Carnevale dall’indole scherzosa, altruista e molto generosa. Difatti, ogni sud...