A passeggio
nel bosco con il fratellino Marco e i genitori, Carolina, una bimba di sette
anni, ascoltava con stupore i diversi richiami di tanti uccellini, del tutto
invisibili tra i rami dalle fronde nuove e già tanto rigogliose.
La
ragazzina, sebbene ancora molto piccola, seguiva con meraviglia l’alternarsi
delle stagioni.
“Dunque,
nemmeno un mese fa’ si era in inverno ed eravamo in montagna a sciare mentre,
ora, siamo già in primavera!” si disse, constatando con stupore quanto fosse
morbido l’appoggio del suo passo su un tappeto soffice di muschio.
Per un po’
Carolina si divertì a posare un piede dopo l’altro sulle punte, come se
danzasse, poi venne distratta da un nuovo e sonoro trillo.
«Senti
com’è melodioso? È un usignolo quello che canta!» gli disse il papà.
La bambina sorrise,
sussurrando tra sé:
Melodioso
è l’usignolo
quando
trilla e non è solo!
E
se ascolti con attenzione
saprà
donarti grande emozione.
Il
fratellino di cinque anni fece una smorfia e poi la scimmiottò:
Quanto
è buffa Carolina
con
la rima sua piccina.
Quindi,
prese a saltellarle intorno rischiando di scivolare sul muschio ma, per
fortuna, la sorella maggiore lo afferrò per la maglietta evitandogli la caduta.
Marco
rimase sconcertato e lei gli assestò un leggero buffetto: «Invece di fare il
pagliaccio sta attento! Potresti farti male.»
Il bimbo reagì
con l’ennesimo sberleffo poi scrollò le spalle e ricominciò a saltellare tutto
contento.
Seguiti
dallo sguardo affettuoso dei genitori, i due proseguirono in silenzio per un
po’ fino a che la corsa velocissima di un roditore lungo il tronco di un albero
attrasse la loro attenzione.
L’animaletto
si fermò a testa in giù, ben aggrappato con gli artigli alla corteccia
dell’albero e i due ragazzini ebbero l’impressione di essere studiati.
«È uno
scoiattolo», suggerì la mamma «e sembra sia in cerca di cibo. Forse nel nido ha
dei piccoli da sfamare.»
«Cosa
mangiano gli scoiattoli, mamma?» domandò il figlioletto, molto interessato alla
folta coda rossa, dove avrebbe volentieri affondato una mano.
«Mangiano
noci, ghiande, castagne e pinoli.»
«Allora
vanno bene anche le nocciole!» esclamò lui trionfante raccogliendone una
manciata per terra e mostrandole con orgoglio.
Lo sguardo
del roditore si fissò sulle manine chiuse a coppa e ricolme del frutto
prediletto.
«Cosa
faccio papà?»
«Inginocchiati
e porgigli il tuo tesoro. Se non farai movimenti bruschi, sarà lui a venire da
te.»
Mentre
Marco seguiva il suggerimento, Carolina si concentrò per inventare altre rime,
una delle sue grandi passioni.
Curioso
ha lo sguardo ed è molto attento,
ancor
guarda qui e non pare contento
a
testa in giù e tutto solo
rimane
a far guardia a quel nocciolo.
«Non aver
paura scoiattolo. Vieni da me!» lo esortò Marco.
Nonostante
l’invito gentile del bimbo, l’animaletto rimase immobile, senza smettere di
fissare il tesoro racchiuso nelle manine e senza il coraggio di avvicinarsi.
«Forse
queste possono tornare utili per il nostro scopo.» intervenne la mamma
inginocchiatosi accanto al figlio e sbattendo le due pietre una contro l’altra.
Le orecchie
dell’animaletto si mossero, puntando ritte verso l’alto.
Con un veloce zampettare lo scoiattolo percorse fulmineo il resto del tronco e si fermò soltanto quando fu sulle radici, con la coda ritta come fosse un baluardo.
Carolina
decantò sottovoce:
Forza,
su, non tentennare,
in
quelle mani puoi pur mangiare
e
se nel nido hai creaturine
puoi
fare scorta di noccioline!
Il roditore
esitò ancora un momento, poi l’istinto lo spinse a mettere da parte ogni timore
e, come un lampo, corse verso Marco. Successivamente, ergendosi sulle zampette posteriori,
afferrò due nocciole. Soltanto per un attimo gli occhi del bambino
s’incrociarono con quelli del piccolo e agile abitante del bosco poi, fulmineo
come si era avvicinato, lo scoiattolo ritornò sul tronco.
«Avete
visto? Ha capito che non aveva nulla da temere e si è avvicinato. Ma ora
lasciamo il resto delle nocciole sotto l’albero così che possa rifornire di
cibo il suo nido.»
«Sono
proprio contento di avere conosciuto lo scoiattolo, papà!»
L’uomo
sorrise al bimbo: «Vi abbiamo portato nel bosco perché possiate conoscere le
creature che ci vivono, ma non abbiamo ancora finito! Questo luogo è colmo di
magia e di cose interessanti, per cui proseguiamo.»
Il termine
“Magia” suscitò un vivo interesse nei due ragazzini:
«Magia?
Vuoi dire che in questo bosco potremmo incontrare anche le fate e gli gnomi?»
domandò Marco.
«Sono certa
che papà non intendeva quel tipo di magia, ma si riferiva, piuttosto,
all’atmosfera che domina in questo luogo. Non avvertite il silenzio e la pace che
regna tutto intorno?»
Il
ragazzino si guardò in giro con un visetto un po’ perplesso e rispose: «Se proprio
devo dire la verità sento un sacco di versi e di richiami.»
«Quelli che
sono i suoni naturali che si possono sentire solo tra la vegetazione, ma ditemi:
secondo voi sono rumori fastidiosi?» domandò il padre.
«Per
niente!» rispose Carolina rimasta fino a quel momento taciturna «Anzi! Io li
trovo proprio rasserenanti.»
«Anche a me
piace molto questa amto…astom…anto…»
«Atmosfera!»
suggerirono i tre in coro scoppiando a ridere.
Ripeti con
me, scandì Carolina: «At…mo…sfe…ra.» Occorsero più tentativi ma, infine, Marco
riuscì a pronunciare bene la difficilissima parola.
Il
gruppetto si lasciò l’albero con i suoi abitanti alle spalle e Carolina riportò
la sua attenzione sui numerosi richiami che si espandevano nell’aria.
Il fruscio
del vento che carezzava le fronde unito al ronzio d’insetti e il frullo lieve
di ali accompagnarono la famigliola lungo il sentiero immerso nell’ombra e
nella frescura degli alberi.
Il continuo
ciangottio, a volte senza senso del fratellino fece sorridere Carolina che,
dimostrando una pazienza infinita, sopportava ogni piccolo dispetto.
Quell’atmosfera
armoniosa colma di suoni gradevoli venne interrotta da uno scalpiccio
improvviso di zoccoli di un animale in corsa, che li mise in allarme. I due
ragazzini si bloccarono interdetti poi, con ultimo fruscio, si ritrovarono a tu
per tu con il musetto vellutato di un cerbiatto che, sorpreso come loro, li
osservò con occhi spalancati.
Per istinto
Marco tese una manina ma il papà lo trattenne: «State fermi, altrimenti si
spaventa e scappa.» sussurrò.
Muso
lungo che par velluto,
sguardo
languido e pulito,
dolce
e bella creatura
rimane
con noi senza paura.
Decantò
Carolina, con sguardo trasognato mentre il ragazzino osservava con la bocca
spalancata per la sorpresa e la meraviglia.
Il cucciolo
sembrò percepire la positività che i due ragazzini trasmettevano e rimase
immobile lasciandosi ammirare e scrutandoli, a sua volta, con curiosità ignorando
gli adulti.
Quel magico
momento sembrò prolungarsi all’infinito per le giovani vite incrociatesi per
caso nel bosco.
Occhi
dolci e cuor contento
resta
immobile assai attento,
pomellato
ha quel suo manto
fianchi
magri e zampe altrettanto.
«Guardate
come gli tremano i fianchi! Credete che abbia paura?» domandò bisbigliando Carolina
poi aggiunse: «Perché questo cerbiatto è solo? Si sarà perso?»
«No che non
si è perso! Guardate là», suggerì la mamma.
I due
seguirono l’indicazione e solo allora si accorsero dell’arrivo di altri due
animali, uno dei quali più piccolo e snello mentre il secondo dall’aspetto
imponente, soprattutto perché sulla testa sfoggiava un palco di corna
spettacolari.
“Mamma e
papà del piccolo.” pensò, come inebetita dalla nuova sorpresa.
«Non
muovetevi, non fate gesti bruschi e sorridete.» suggerì ancora una volta il
padre.
I ragazzini
ubbidirono mettendo in mostra un sorriso che illuminava i loro volti.
«Credi
davvero sia utile sorridere?» sussurrò la mamma.
«Indispensabile!
Gli animali sono in grado di percepire il pericolo anche attraverso i segnali
che i corpi emanano. Del resto, se ci avessero ritenuto una minaccia per il
loro cucciolo sarebbero fuggiti all’istante portando in salvo la loro
creatura.»
Marco, che
non era affatto disposto a stare fermo e tranquillo per così tanto tempo, si
accosciò con la massima lentezza e strappò un ciuffo di erba verde e tenera
porgendolo poi al cerbiatto.
L’aspetto
invitante dell’erbetta fece spalancare ancor di più gli occhi languidi
dell’animaletto rendendoli immensi e vogliosi.
Le zampe
esili si mossero in avanti ma, subito dopo, il cerbiatto s’immobilizzò.
Che fosse
indeciso lo si poteva intuire dall’espressione e dallo scalpitare nervoso degli
zoccoli. Allora accadde una cosa del tutto impensabile e imprevedibile: mamma
cerva, rimasta sempre alle sue spalle, iniziò ad assestare piccoli colpi sul
posteriore tremolante del piccolo inducendolo così a compiere qualche passo in
avanti.
Il cerbiatto
volse il lungo collo all’indietro fissando i due adulti e chissà cosa ravvisò
in quegli sguardi, forse un incitamento a proseguire. Fatto sta che subito dopo
il piccolo avanzò deciso verso i due bambini affondando poi il musetto di
velluto nelle mani di Marco.
Carolina
seguì l’esempio del fratellino e quando avvertì il tocco morbido della dolce
creatura tra le sue mani, le si velarono gli occhi di lacrime. E mentre il
cuore prese a batterle forte forte riuscì a intrecciare le sue rime:
Vien
da noi innocente e pura
l’incantevole
creatura
batton
forte i giovani cuori
e
tra cuccioli è scambio d’amore.
In
silenzio, alle spalle dei propri figli, i quattro genitori si scambiarono una
lunga occhiata carica di significati e forse chissà, seppure di genere diverso,
s’intesero alla perfezione. La magia durò qualche breve minuto quindi, papà
cervo emise un lieve bramito per richiamare il suo cucciolo. Allora il
cerbiatto indietreggiò, non senza aver ricevuto un’ultima carezza e dopo poco
la famigliola scomparve nel folto del bosco.
Mamma e
papà percepirono tutta l’emozione dei loro figlioletti e li strinsero in un
lungo e affettuoso abbraccio.
«Avete
visto quanto erano belli?» domandò Marco.
«Bellissimi!
Sapete ragazzi, questa è una di quelle magie cui faceva accenno il papà poco
fa.»
«E sono
certo che questa è stata un’esperienza che ricorderete per tutta la vita. Mi
sbaglio?» domandò l’uomo.
Carolina,
travolta da un fiume di emozioni sorrise dolcemente: «Sarà difficile
dimenticare questo incontro!» rispose convinta.
Ripresero
la passeggiata, ognuno immerso nei propri pensieri. Solo Marco mise da parte in
fretta quanto appena avvenuto, proiettando il giovane cuore verso una futura,
probabile avventura, con la spensieratezza tipica dei suoi anni.
La
ragazzina, invece, tornò a farsi cullare dalle vibrazioni positive emesse
dall’ambiente circostante prima con il cicaleccio intenso e il frinire di
insetti del tutto invisibili nei ciuffi di erba, poi fu il gracchiare sonoro di
cornacchie svolazzanti tra i rami più alti degli alberi, fino a concentrarsi su
di un continuo e suggestivo cu-cu.
Il papà,
distratto da quel richiamo insolito, improvvisò una piccola lezione catturando così
l’attenzione dei figlioletti: «Questo è il verso del cuculo ragazzi. Sapete,
questo uccello, assai pigro, ha un atteggiamento ben strano con i suoi piccoli
rispetto a tutti gli altri volatili. La femmina, in genere, è in grado di fare
un solo uovo e non lo cova mai perché lo abbandona subito nel nido costruito da
qualche altro uccello, anche di genere diverso. Lo fa affinché si preoccupi
l’altro a covarlo, a nutrire poi il pulcino e a crescerlo fino a quando
diventerà indipendente.»
«Già, ma
sapete, ancor più strano è il comportamento del pulcino appena nato, che è
sempre più grande degli altri fratellini adottivi e che approfitta delle sue
dimensioni per liberarsene in modo da rimanere il solo ad approfittare delle
attenzioni dei genitori acquisiti.»
«Ma allora
il cuculo è un uccello cattivo, papà!» esclamò Marco aggrottando la fronte e
dimostrando tanta contrarietà.
«No,
piccolo mio! La cattiveria non esiste tra gli animali. Il cuculo si comporta
così perché segue l’istinto e, forse, non essendo in grado di crescere i suoi
piccoli, li affida agli altri.»
Il
ragazzino scrollò le spalle, quindi si mise a saltellare intorno alla sorella
scherzando: «Anche io vorrei essere il solo cucciolo a casa nostra!»
«Cu-cu!
Cu-cu! Non ti sopporto più!
Cu-cu!
Cu-cu! Ora ti butto giù!»
Carolina
sospirò, sottoponendosi con pazienza agli scherzi del ragazzino, che aveva
iniziato a spintonarla.
«Lascia in
pace tua sorella e non dire più sciocchezze di questo genere.» lo ammonì la
mamma prendendolo per mano e spingendolo a proseguire.
Il sentiero
proseguiva inerpicandosi e i quattro furono costretti a tacere per l’affanno.
Il bosco
diventava sempre più fitto e, all’improvviso, per un odore disgustoso, l’aria
divenne irrespirabile.
«Puah, che
schifo! Da dove arriva questa puzza?» si lamentò Marco.
Per quanto
scrutassero i dintorni non scoprirono nulla finché non fu la mamma a indicare
la presenza di un animaletto, ritto sulle zampe, che li osservava, soffiando ed
emettendo versi minacciosi.
«A me non
piacciono le puzzole. Mi fanno schifo per quanto puzzano!» disse Marco
turandosi il nasino.
Il papà lo
riprese: «Non bisogna disprezzarle. Emettono quel cattivo odore soltanto quando
si sentono in pericolo. Non vedi com’è carina con quella coda bianca e nera?»
L’uomo di
avvicinò con cautela e solo allora si accorse della presenza di un altro
animaletto: «Guardate: c’è anche un piccolo porcospino!»
«Non si
muove! Forse è ferito!» mormorò Carolina, con tono dispiaciuto.
Il papà
tentò di avvicinarsi ancora un po’ ma la puzzola reagì con uno scatto in avanti
e l’uomo ebbe l’impressione che intendesse aggredirlo.
«Stai
attento papà. Quella puzzola mi sembra molto arrabbiata.»
«No, credo
che voglia soltanto difendere il suo piccolo amico. Cerchiamo di
tranquillizzarla, sedendoci tutti insieme senza fare gesti bruschi e senza
alzare la voce.» suggerì lui.
La
famigliola si sedette in circolo quindi, con fare noncurante, iniziarono a
parlare tra loro.
La puzzola
li studiò per un po’ poi sembrò calmarsi e tornò accanto al piccolo porcospino.
Ogni volta
che l’animaletto tentava di muoversi, emetteva dei versi sofferenti e tornava
ad adagiarsi sull’erbetta.
«Papà,
sembra che pianga.» disse Marco.
«Si lamenta
perché ha il pancino pieno di aculei. Qualche adulto della sua specie deve
averlo aggredito.»
«Poverino!
Cosa possiamo fare, papà?» domandò Carolina.
«Tenterò di
avvicinarmi e di aiutarlo. Sempre che la sua amica puzzola me lo permetta.»
L’uomo
allungò una mano verso il cucciolo ferito ma la puzzola reagì soffiando e
arricciando il musetto quindi, ergendosi sulle zampe gli mostrò gli artigli.
«Stai
attento, caro!» intervenne la mamma «Ha proprio intenzione di difenderlo con le
unghie e con i denti.»
Colpita da
quella scena, la ragazzina intrecciò i suoi versi:
Con
la coda bianca e nera,
che
inalberata è assai fiera,
lei
difende il porcospino
come
fosse il suo piccolino.
Finalmente
la bestiola si rese conto che né lei né il cucciolo correvano pericolo e il
papà dei due bimbi, che aveva atteso con pazienza quel momento, prese il
piccolo tra le mani e con fare delicato iniziò a estrarre, dal pancino, gli
aculei che vi si erano infilati.
Sotto lo
sguardo attento della puzzola e dei ragazzini, mamma e papà collaborarono con
delicatezza e, in poco tempo, riuscirono a cavare tutti gli aculei.
«Chissà per
quale motivo un adulto si è accanito così tanto contro questo piccolino.» disse
la mamma.
«Comunque,
ora è tutto a posto. Il cucciolo può tornare a giocare e a zampettare qua e là,
alla scoperta del suo mondo.» rispose il papà.
Marco
intervenne: «Com’è carino! Perché invece non ce lo portiamo a casa?» domandò,
mentre con l’indice solleticava il morbido sottogola del porcospino. Il piccolo
si mosse emettendo un verso deliziato e il ragazzino continuò a carezzarlo.
«Non
sarebbe giusto strapparlo dal luogo in cui è nato e dove è naturale che viva.
Ti piacerebbe se qualcuno ti portasse via da casa tua e ti ritrovassi a dover
vivere con degli estranei che non capisci e non ti comprendono?»
Marco
sgranò lo sguardo in modo smarrito: «No papà!»
«Quel che non
è giusto per te non lo è nemmeno per questo piccolino.»
«Papà, ma
chi penserà a questo piccolo orfanello?»
«Non è
certo che sia un orfanello e, comunque, una mamma adottiva l’ha già trovata!
Non credete?» disse, mentre il cucciolo già correva verso la puzzola.
Corre
svelto il porcospino,
ormai
guarito è il suo pancino,
ha
cuor di mamma che abbraccia e coccola.
Carolina,
d’istinto, si strinse alla sua mamma imitata subito dal fratellino. Il papà, a
sua volta, strinse la sua famigliola in un caldo abbraccio.
«La cosa
importante in una famiglia è che vi sia l’amore e sono sicuro che quel piccolo
ne riceverà tanto da mamma puzzola.»
«Camminiamo
ancora un po’. Vi va bambini o siete stanchi?» propose la mamma.
I due
ragazzini si guardarono, consultandosi, poi fu Marco il primo a ridere e
Carolina lo imitò.
«Non siamo
affatto stanchi, anzi!» rispose il più piccolo quindi, riprese il cammino,
saltellando come fosse un ranocchio e senza guardare dove posava i piedi. Di
conseguenza inciampò in una radice sporgente e perse l’equilibrio cadendo poi
sulle ginocchia. I sassi gli graffiarono la pelle e il ragazzino scoppiò in
lacrime.
Carolina
gli corse accanto e, constatato il poco danno, lo aiutò a rialzarsi, poi gli
asciugò i lacrimoni carezzandolo con affetto. Lei sapeva che il fratellino non
avrebbe resistito tanto a prenderla in giro e ne provocò la reazione componendo
le rime:
Orsù
non piangere e stai sereno
che
questo bosco è luogo ameno.
Andiamo
dunque ancora a passeggio
tra
noccioli, querce e sino a quel faggio.
Dimenticando
quanto appena accaduto Marco rispose per le rime:
Crede
di esser una poetessa,
intreccia
rime ma è sempre la stessa,
non
sono un gatto e non ho baffo
fò
marameo e gli faccio sberleffo
Carolina
scambiò uno sguardo con i genitori e mamma le sorrise mentre papà le fece
l’occhiolino facendole intendere che avevano apprezzato il suo modo di calmare
il pianto del fratellino.
«Le rime
che hai inventato erano carine, ma mi spieghi cosa c’entrava il gatto?»
Marco
ridacchiò «E che ne so? Dovevo trovare una rima con sberleffo e mi è venuto
baffo così ho pensato al gatto.»
Il sentiero
che stavano percorrendo terminò in una radura dal verde e dalla fioritura
rigogliosa colma di quiete e frescura. Rimasero subito colpiti dal suono
argentino di una piccola cascatella che si gettava in un laghetto incantevole.
«Che bel
posto!» esclamò il ragazzino con gli occhi sgranati dallo stupore.
L’aria era
tersa e colma dei profumi dei fiori che coloravano in modo suggestivo i
dintorni.
I due
ragazzini iniziarono a respirare a pieni polmoni poi, sotto lo sguardo
divertito dei genitori, si misero a volteggiare su se stessi come se
danzassero.
All’improvviso
una miriade di ali colorate comparve nella radura e Marco e Carolina si
fermarono estasiati.
«Non ne
avevo mai viste così tante e tutte insieme.»
«Questa è
la casa delle farfalle.» disse il papà «Vi abbiamo portati qui apposta perché
possiate ammirare questo spettacolo della natura.»
Le farfalle
erano tantissime e sembravano apprezzare la presenza dei ragazzini. Qualcuna,
più ardita delle altre, si posò sulle loro spalle e sulle loro teste e i
fratellini si scambiarono gridolini deliziati.
Una delle
farfalle volò vicinissimo al volto di Marco e parve studiarlo. «Guarda quanta è
bella questa!» esclamò quasi senza fiato, fissando l’insetto che svolazzava a
pochi centimetri da lui e che subito dopo, con estrema delicatezza, gli si posò
sul naso muovendo appena le ali.
Marco
incrociò gli occhi con espressione incredula estremamente buffa e Carolina
scoppiò a ridere.
Fu
questione di pochi secondi. Marco starnutì per il solletico dovuto alle
zampette e la farfalla si levò in volo.
«Oh, non
andare via!» pregò il ragazzino, ma ormai l’insetto era lontano.
«Avevi
un’espressione molto buffa, sai?»
«Non c’era
proprio niente da ridere. È stato…bellissimo! Una vera magia. Vero papà?»
domandò lui con aria trasognata.
«Sì,
figliolo. Uno di quei momenti magici da conservare nel cuore per sempre.»
Rimasero
ancora qualche minuto ad ammirare la miriade di ali colorate che sembravano
danzare nell’aria.
«Sembra di
vivere in un sogno!» mormorò Carolina che iniziò a recitare:
Colorate,
leggiadre e belle,
son
le ali di farfalle
come
veli o come organza
improvvisano
in ciel una danza.
I genitori
sorrisero e anche Marco approvò le rime.
Poi fu la
mamma a riportare tutti alla realtà.
«Si è fatto
tardi e per oggi abbiamo visto abbastanza. Torniamo a casa?»
«Sì!»
rispose l’uomo «Sono sicuro che domani sarà un’altra bella giornata da
trascorrere insieme.»
Favola già pubblicata sul sito Scrivere
Uno splendido, e accattivante scenario della natura, in cui incontrare svariati esseri viventi, per saggiarne brevemente le caratteristiche, avendo, così, una visuale del variegato mondo animale...
RispondiEliminaBrano molto gradito, e piaciuto.
Buon mercoledì e un abbraccio, Vivì, silvia
Ma che bella questa favola bucolica.
RispondiEliminaE quanto ci mancano le passeggiate nel bosco e gli animali.
Grazie per questo viaggio con la fantasia.
Bellissimo e variegato racconto di avventura e conoscenza degli animali che, vivono nel bosco di una famigliola, che porta i figli a conoscere la magnificenza della natura e delle sue creature nel loro vivere quotidiano, esaltando la meraviglia dei bimbi e le loro magnifiche poesie. Molto interessante e molto avvincente la sua lettura. Bravissima e fantasiosa come sempre, cara Vivi. Un abbraccio da Grazia!
RispondiEliminaUn bel racconto!
RispondiEliminaHola Vivi! superbella historia; el bosque, los animalitos y tu talento exhalan la magia della tua immaginazione ♥
RispondiEliminacome me se chiama la ragazza: Carolina :D
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