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mercoledì 22 aprile 2020

Passeggiando nel bosco







A passeggio nel bosco con il fratellino Marco e i genitori, Carolina, una bimba di sette anni, ascoltava con stupore i diversi richiami di tanti uccellini, del tutto invisibili tra i rami dalle fronde nuove e già tanto rigogliose.
La ragazzina, sebbene ancora molto piccola, seguiva con meraviglia l’alternarsi delle stagioni.
“Dunque, nemmeno un mese fa’ si era in inverno ed eravamo in montagna a sciare mentre, ora, siamo già in primavera!” si disse, constatando con stupore quanto fosse morbido l’appoggio del suo passo su un tappeto soffice di muschio.
Per un po’ Carolina si divertì a posare un piede dopo l’altro sulle punte, come se danzasse, poi venne distratta da un nuovo e sonoro trillo.
«Senti com’è melodioso? È un usignolo quello che canta!» gli disse il papà.
La bambina sorrise, sussurrando tra sé:

Melodioso è l’usignolo
quando trilla e non è solo!
E se ascolti con attenzione
saprà donarti grande emozione.

Il fratellino di cinque anni fece una smorfia e poi la scimmiottò:

Quanto è buffa Carolina
con la rima sua piccina.

Quindi, prese a saltellarle intorno rischiando di scivolare sul muschio ma, per fortuna, la sorella maggiore lo afferrò per la maglietta evitandogli la caduta.
Marco rimase sconcertato e lei gli assestò un leggero buffetto: «Invece di fare il pagliaccio sta attento! Potresti farti male.»
Il bimbo reagì con l’ennesimo sberleffo poi scrollò le spalle e ricominciò a saltellare tutto contento.
Seguiti dallo sguardo affettuoso dei genitori, i due proseguirono in silenzio per un po’ fino a che la corsa velocissima di un roditore lungo il tronco di un albero attrasse la loro attenzione.
L’animaletto si fermò a testa in giù, ben aggrappato con gli artigli alla corteccia dell’albero e i due ragazzini ebbero l’impressione di essere studiati.
«È uno scoiattolo», suggerì la mamma «e sembra sia in cerca di cibo. Forse nel nido ha dei piccoli da sfamare.»
«Cosa mangiano gli scoiattoli, mamma?» domandò il figlioletto, molto interessato alla folta coda rossa, dove avrebbe volentieri affondato una mano.
«Mangiano noci, ghiande, castagne e pinoli.»
«Allora vanno bene anche le nocciole!» esclamò lui trionfante raccogliendone una manciata per terra e mostrandole con orgoglio.
Lo sguardo del roditore si fissò sulle manine chiuse a coppa e ricolme del frutto prediletto.
«Cosa faccio papà?»
«Inginocchiati e porgigli il tuo tesoro. Se non farai movimenti bruschi, sarà lui a venire da te.»
Mentre Marco seguiva il suggerimento, Carolina si concentrò per inventare altre rime, una delle sue grandi passioni.

Curioso ha lo sguardo ed è molto attento,
ancor guarda qui e non pare contento
a testa in giù e tutto solo
rimane a far guardia a quel nocciolo.

«Non aver paura scoiattolo. Vieni da me!» lo esortò Marco.
Nonostante l’invito gentile del bimbo, l’animaletto rimase immobile, senza smettere di fissare il tesoro racchiuso nelle manine e senza il coraggio di avvicinarsi.
«Forse queste possono tornare utili per il nostro scopo.» intervenne la mamma inginocchiatosi accanto al figlio e sbattendo le due pietre una contro l’altra.
Le orecchie dell’animaletto si mossero, puntando ritte verso l’alto.
«Bella idea, mamma! Pare ancor più interessato!» si complimentò il papà abbassando il tono.           



Con un veloce zampettare lo scoiattolo percorse fulmineo il resto del tronco e si fermò soltanto quando fu sulle radici, con la coda ritta come fosse un baluardo.
Carolina decantò sottovoce:

Forza, su, non tentennare,
in quelle mani puoi pur mangiare
e se nel nido hai creaturine
puoi fare scorta di noccioline!

Il roditore esitò ancora un momento, poi l’istinto lo spinse a mettere da parte ogni timore e, come un lampo, corse verso Marco. Successivamente, ergendosi sulle zampette posteriori, afferrò due nocciole. Soltanto per un attimo gli occhi del bambino s’incrociarono con quelli del piccolo e agile abitante del bosco poi, fulmineo come si era avvicinato, lo scoiattolo ritornò sul tronco.
«Avete visto? Ha capito che non aveva nulla da temere e si è avvicinato. Ma ora lasciamo il resto delle nocciole sotto l’albero così che possa rifornire di cibo il suo nido.»
«Sono proprio contento di avere conosciuto lo scoiattolo, papà!»
L’uomo sorrise al bimbo: «Vi abbiamo portato nel bosco perché possiate conoscere le creature che ci vivono, ma non abbiamo ancora finito! Questo luogo è colmo di magia e di cose interessanti, per cui proseguiamo.»
Il termine “Magia” suscitò un vivo interesse nei due ragazzini:
«Magia? Vuoi dire che in questo bosco potremmo incontrare anche le fate e gli gnomi?» domandò Marco.
I genitori si scambiarono un’occhiata divertita, poi fu la mamma a spiegare:
«Sono certa che papà non intendeva quel tipo di magia, ma si riferiva, piuttosto, all’atmosfera che domina in questo luogo. Non avvertite il silenzio e la pace che regna tutto intorno?»
Il ragazzino si guardò in giro con un visetto un po’ perplesso e rispose: «Se proprio devo dire la verità sento un sacco di versi e di richiami.»
«Quelli che sono i suoni naturali che si possono sentire solo tra la vegetazione, ma ditemi: secondo voi sono rumori fastidiosi?» domandò il padre.
«Per niente!» rispose Carolina rimasta fino a quel momento taciturna «Anzi! Io li trovo proprio rasserenanti.»
«Anche a me piace molto questa amto…astom…anto…»
«Atmosfera!» suggerirono i tre in coro scoppiando a ridere.
Ripeti con me, scandì Carolina: «At…mo…sfe…ra.» Occorsero più tentativi ma, infine, Marco riuscì a pronunciare bene la difficilissima parola.
Il gruppetto si lasciò l’albero con i suoi abitanti alle spalle e Carolina riportò la sua attenzione sui numerosi richiami che si espandevano nell’aria.
Il fruscio del vento che carezzava le fronde unito al ronzio d’insetti e il frullo lieve di ali accompagnarono la famigliola lungo il sentiero immerso nell’ombra e nella frescura degli alberi.
Il continuo ciangottio, a volte senza senso del fratellino fece sorridere Carolina che, dimostrando una pazienza infinita, sopportava ogni piccolo dispetto.
Quell’atmosfera armoniosa colma di suoni gradevoli venne interrotta da uno scalpiccio improvviso di zoccoli di un animale in corsa, che li mise in allarme. I due ragazzini si bloccarono interdetti poi, con ultimo fruscio, si ritrovarono a tu per tu con il musetto vellutato di un cerbiatto che, sorpreso come loro, li osservò con occhi spalancati.       
                                                         
    
Per istinto Marco tese una manina ma il papà lo trattenne: «State fermi, altrimenti si spaventa e scappa.» sussurrò.

Muso lungo che par velluto,
sguardo languido e pulito,
dolce e bella creatura
rimane con noi senza paura.

Decantò Carolina, con sguardo trasognato mentre il ragazzino osservava con la bocca spalancata per la sorpresa e la meraviglia.
Il cucciolo sembrò percepire la positività che i due ragazzini trasmettevano e rimase immobile lasciandosi ammirare e scrutandoli, a sua volta, con curiosità ignorando gli adulti.
Quel magico momento sembrò prolungarsi all’infinito per le giovani vite incrociatesi per caso nel bosco. 

Occhi dolci e cuor contento
resta immobile assai attento,
pomellato ha quel suo manto
fianchi magri e zampe altrettanto.

«Guardate come gli tremano i fianchi! Credete che abbia paura?» domandò bisbigliando Carolina poi aggiunse: «Perché questo cerbiatto è solo? Si sarà perso?»
«No che non si è perso! Guardate là», suggerì la mamma.
I due seguirono l’indicazione e solo allora si accorsero dell’arrivo di altri due animali, uno dei quali più piccolo e snello mentre il secondo dall’aspetto imponente, soprattutto perché sulla testa sfoggiava un palco di corna spettacolari.
“Mamma e papà del piccolo.” pensò, come inebetita dalla nuova sorpresa.
«Non muovetevi, non fate gesti bruschi e sorridete.» suggerì ancora una volta il padre.
I ragazzini ubbidirono mettendo in mostra un sorriso che illuminava i loro volti.
«Credi davvero sia utile sorridere?» sussurrò la mamma.
«Indispensabile! Gli animali sono in grado di percepire il pericolo anche attraverso i segnali che i corpi emanano. Del resto, se ci avessero ritenuto una minaccia per il loro cucciolo sarebbero fuggiti all’istante portando in salvo la loro creatura.»
Marco, che non era affatto disposto a stare fermo e tranquillo per così tanto tempo, si accosciò con la massima lentezza e strappò un ciuffo di erba verde e tenera porgendolo poi al cerbiatto.
L’aspetto invitante dell’erbetta fece spalancare ancor di più gli occhi languidi dell’animaletto rendendoli immensi e vogliosi.
Le zampe esili si mossero in avanti ma, subito dopo, il cerbiatto s’immobilizzò.
Che fosse indeciso lo si poteva intuire dall’espressione e dallo scalpitare nervoso degli zoccoli. Allora accadde una cosa del tutto impensabile e imprevedibile: mamma cerva, rimasta sempre alle sue spalle, iniziò ad assestare piccoli colpi sul posteriore tremolante del piccolo inducendolo così a compiere qualche passo in avanti.
Il cerbiatto volse il lungo collo all’indietro fissando i due adulti e chissà cosa ravvisò in quegli sguardi, forse un incitamento a proseguire. Fatto sta che subito dopo il piccolo avanzò deciso verso i due bambini affondando poi il musetto di velluto nelle mani di Marco.
Carolina seguì l’esempio del fratellino e quando avvertì il tocco morbido della dolce creatura tra le sue mani, le si velarono gli occhi di lacrime. E mentre il cuore prese a batterle forte forte riuscì a intrecciare le sue rime:

Vien da noi innocente e pura
l’incantevole creatura
batton forte i giovani cuori
e tra cuccioli è scambio d’amore.

In silenzio, alle spalle dei propri figli, i quattro genitori si scambiarono una lunga occhiata carica di significati e forse chissà, seppure di genere diverso, s’intesero alla perfezione. La magia durò qualche breve minuto quindi, papà cervo emise un lieve bramito per richiamare il suo cucciolo. Allora il cerbiatto indietreggiò, non senza aver ricevuto un’ultima carezza e dopo poco la famigliola scomparve nel folto del bosco.
Mamma e papà percepirono tutta l’emozione dei loro figlioletti e li strinsero in un lungo e affettuoso abbraccio.
«Avete visto quanto erano belli?» domandò Marco.
«Bellissimi! Sapete ragazzi, questa è una di quelle magie cui faceva accenno il papà poco fa.»
«E sono certo che questa è stata un’esperienza che ricorderete per tutta la vita. Mi sbaglio?» domandò l’uomo.
Carolina, travolta da un fiume di emozioni sorrise dolcemente: «Sarà difficile dimenticare questo incontro!» rispose convinta.
Ripresero la passeggiata, ognuno immerso nei propri pensieri. Solo Marco mise da parte in fretta quanto appena avvenuto, proiettando il giovane cuore verso una futura, probabile avventura, con la spensieratezza tipica dei suoi anni.
La ragazzina, invece, tornò a farsi cullare dalle vibrazioni positive emesse dall’ambiente circostante prima con il cicaleccio intenso e il frinire di insetti del tutto invisibili nei ciuffi di erba, poi fu il gracchiare sonoro di cornacchie svolazzanti tra i rami più alti degli alberi, fino a concentrarsi su di un continuo e suggestivo cu-cu.
Il papà, distratto da quel richiamo insolito, improvvisò una piccola lezione catturando così l’attenzione dei figlioletti: «Questo è il verso del cuculo ragazzi. Sapete, questo uccello, assai pigro, ha un atteggiamento ben strano con i suoi piccoli rispetto a tutti gli altri volatili. La femmina, in genere, è in grado di fare un solo uovo e non lo cova mai perché lo abbandona subito nel nido costruito da qualche altro uccello, anche di genere diverso. Lo fa affinché si preoccupi l’altro a covarlo, a nutrire poi il pulcino e a crescerlo fino a quando diventerà indipendente.»
«Un ben strano modo di fare, papà.» rifletté Carolina con il volto serio.
«Già, ma sapete, ancor più strano è il comportamento del pulcino appena nato, che è sempre più grande degli altri fratellini adottivi e che approfitta delle sue dimensioni per liberarsene in modo da rimanere il solo ad approfittare delle attenzioni dei genitori acquisiti.»
«Ma allora il cuculo è un uccello cattivo, papà!» esclamò Marco aggrottando la fronte e dimostrando tanta contrarietà.
«No, piccolo mio! La cattiveria non esiste tra gli animali. Il cuculo si comporta così perché segue l’istinto e, forse, non essendo in grado di crescere i suoi piccoli, li affida agli altri.»
Il ragazzino scrollò le spalle, quindi si mise a saltellare intorno alla sorella scherzando: «Anche io vorrei essere il solo cucciolo a casa nostra!»
                                                  
«Cu-cu! Cu-cu! Non ti sopporto più!
Cu-cu! Cu-cu! Ora ti butto giù!»

Carolina sospirò, sottoponendosi con pazienza agli scherzi del ragazzino, che aveva iniziato a spintonarla.
«Lascia in pace tua sorella e non dire più sciocchezze di questo genere.» lo ammonì la mamma prendendolo per mano e spingendolo a proseguire.
Il sentiero proseguiva inerpicandosi e i quattro furono costretti a tacere per l’affanno.
Il bosco diventava sempre più fitto e, all’improvviso, per un odore disgustoso, l’aria divenne irrespirabile.
«Puah, che schifo! Da dove arriva questa puzza?» si lamentò Marco.
Per quanto scrutassero i dintorni non scoprirono nulla finché non fu la mamma a indicare la presenza di un animaletto, ritto sulle zampe, che li osservava, soffiando ed emettendo versi minacciosi.
«È una puzzola!»                    
«A me non piacciono le puzzole. Mi fanno schifo per quanto puzzano!» disse Marco turandosi il nasino.
Il papà lo riprese: «Non bisogna disprezzarle. Emettono quel cattivo odore soltanto quando si sentono in pericolo. Non vedi com’è carina con quella coda bianca e nera?»
L’uomo di avvicinò con cautela e solo allora si accorse della presenza di un altro animaletto: «Guardate: c’è anche un piccolo porcospino!»
«Non si muove! Forse è ferito!» mormorò Carolina, con tono dispiaciuto.
Il papà tentò di avvicinarsi ancora un po’ ma la puzzola reagì con uno scatto in avanti e l’uomo ebbe l’impressione che intendesse aggredirlo.
«Stai attento papà. Quella puzzola mi sembra molto arrabbiata.»
«No, credo che voglia soltanto difendere il suo piccolo amico. Cerchiamo di tranquillizzarla, sedendoci tutti insieme senza fare gesti bruschi e senza alzare la voce.» suggerì lui.
La famigliola si sedette in circolo quindi, con fare noncurante, iniziarono a parlare tra loro.
La puzzola li studiò per un po’ poi sembrò calmarsi e tornò accanto al piccolo porcospino.
Ogni volta che l’animaletto tentava di muoversi, emetteva dei versi sofferenti e tornava ad adagiarsi sull’erbetta.
«Papà, sembra che pianga.» disse Marco.
«Si lamenta perché ha il pancino pieno di aculei. Qualche adulto della sua specie deve averlo aggredito.»
«Poverino! Cosa possiamo fare, papà?» domandò Carolina.
«Tenterò di avvicinarmi e di aiutarlo. Sempre che la sua amica puzzola me lo permetta.»
L’uomo allungò una mano verso il cucciolo ferito ma la puzzola reagì soffiando e arricciando il musetto quindi, ergendosi sulle zampe gli mostrò gli artigli.
«Stai attento, caro!» intervenne la mamma «Ha proprio intenzione di difenderlo con le unghie e con i denti.»
Colpita da quella scena, la ragazzina intrecciò i suoi versi:


Con la coda bianca e nera,
che inalberata è assai fiera,
lei difende il porcospino
come fosse il suo piccolino.

Finalmente la bestiola si rese conto che né lei né il cucciolo correvano pericolo e il papà dei due bimbi, che aveva atteso con pazienza quel momento, prese il piccolo tra le mani e con fare delicato iniziò a estrarre, dal pancino, gli aculei che vi si erano infilati.
Sotto lo sguardo attento della puzzola e dei ragazzini, mamma e papà collaborarono con delicatezza e, in poco tempo, riuscirono a cavare tutti gli aculei.
«Chissà per quale motivo un adulto si è accanito così tanto contro questo piccolino.» disse la mamma.
«Comunque, ora è tutto a posto. Il cucciolo può tornare a giocare e a zampettare qua e là, alla scoperta del suo mondo.» rispose il papà.
Marco intervenne: «Com’è carino! Perché invece non ce lo portiamo a casa?» domandò, mentre con l’indice solleticava il morbido sottogola del porcospino. Il piccolo si mosse emettendo un verso deliziato e il ragazzino continuò a carezzarlo.
«Non sarebbe giusto strapparlo dal luogo in cui è nato e dove è naturale che viva. Ti piacerebbe se qualcuno ti portasse via da casa tua e ti ritrovassi a dover vivere con degli estranei che non capisci e non ti comprendono?»
Marco sgranò lo sguardo in modo smarrito: «No papà!»
«Quel che non è giusto per te non lo è nemmeno per questo piccolino.»
«Papà, ma chi penserà a questo piccolo orfanello?»
«Non è certo che sia un orfanello e, comunque, una mamma adottiva l’ha già trovata! Non credete?» disse, mentre il cucciolo già correva verso la puzzola.


Corre svelto il porcospino,
ormai guarito è il suo pancino,
e se pur diversa da lui la puzzola
ha cuor di mamma che abbraccia e coccola.

Carolina, d’istinto, si strinse alla sua mamma imitata subito dal fratellino. Il papà, a sua volta, strinse la sua famigliola in un caldo abbraccio.
«La cosa importante in una famiglia è che vi sia l’amore e sono sicuro che quel piccolo ne riceverà tanto da mamma puzzola.»
«Camminiamo ancora un po’. Vi va bambini o siete stanchi?» propose la mamma.
I due ragazzini si guardarono, consultandosi, poi fu Marco il primo a ridere e Carolina lo imitò.
«Non siamo affatto stanchi, anzi!» rispose il più piccolo quindi, riprese il cammino, saltellando come fosse un ranocchio e senza guardare dove posava i piedi. Di conseguenza inciampò in una radice sporgente e perse l’equilibrio cadendo poi sulle ginocchia. I sassi gli graffiarono la pelle e il ragazzino scoppiò in lacrime.
Carolina gli corse accanto e, constatato il poco danno, lo aiutò a rialzarsi, poi gli asciugò i lacrimoni carezzandolo con affetto. Lei sapeva che il fratellino non avrebbe resistito tanto a prenderla in giro e ne provocò la reazione componendo le rime:

Orsù non piangere e stai sereno
che questo bosco è luogo ameno.
Andiamo dunque ancora a passeggio
tra noccioli, querce e sino a quel faggio.

Dimenticando quanto appena accaduto Marco rispose per le rime:

Crede di esser una poetessa,
intreccia rime ma è sempre la stessa,
non sono un gatto e non ho baffo
fò marameo e gli faccio sberleffo

Carolina scambiò uno sguardo con i genitori e mamma le sorrise mentre papà le fece l’occhiolino facendole intendere che avevano apprezzato il suo modo di calmare il pianto del fratellino.
«Le rime che hai inventato erano carine, ma mi spieghi cosa c’entrava il gatto?»
Marco ridacchiò «E che ne so? Dovevo trovare una rima con sberleffo e mi è venuto baffo così ho pensato al gatto.»
Il sentiero che stavano percorrendo terminò in una radura dal verde e dalla fioritura rigogliosa colma di quiete e frescura. Rimasero subito colpiti dal suono argentino di una piccola cascatella che si gettava in un laghetto incantevole.
«Che bel posto!» esclamò il ragazzino con gli occhi sgranati dallo stupore.
L’aria era tersa e colma dei profumi dei fiori che coloravano in modo suggestivo i dintorni.
I due ragazzini iniziarono a respirare a pieni polmoni poi, sotto lo sguardo divertito dei genitori, si misero a volteggiare su se stessi come se danzassero.
All’improvviso una miriade di ali colorate comparve nella radura e Marco e Carolina si fermarono estasiati.
«Guarda quante farfalle!» esclamò Marco.
«Non ne avevo mai viste così tante e tutte insieme.»
«Questa è la casa delle farfalle.» disse il papà «Vi abbiamo portati qui apposta perché possiate ammirare questo spettacolo della natura.»
Le farfalle erano tantissime e sembravano apprezzare la presenza dei ragazzini. Qualcuna, più ardita delle altre, si posò sulle loro spalle e sulle loro teste e i fratellini si scambiarono gridolini deliziati.
Una delle farfalle volò vicinissimo al volto di Marco e parve studiarlo. «Guarda quanta è bella questa!» esclamò quasi senza fiato, fissando l’insetto che svolazzava a pochi centimetri da lui e che subito dopo, con estrema delicatezza, gli si posò sul naso muovendo appena le ali.
Marco incrociò gli occhi con espressione incredula estremamente buffa e Carolina scoppiò a ridere.
Fu questione di pochi secondi. Marco starnutì per il solletico dovuto alle zampette e la farfalla si levò in volo.
«Oh, non andare via!» pregò il ragazzino, ma ormai l’insetto era lontano.
«Avevi un’espressione molto buffa, sai?»
«Non c’era proprio niente da ridere. È stato…bellissimo! Una vera magia. Vero papà?» domandò lui con aria trasognata.
«Sì, figliolo. Uno di quei momenti magici da conservare nel cuore per sempre.»
Rimasero ancora qualche minuto ad ammirare la miriade di ali colorate che sembravano danzare nell’aria.
«Sembra di vivere in un sogno!» mormorò Carolina che iniziò a recitare:
                                                                                
Colorate, leggiadre e belle,
son le ali di farfalle
come veli o come organza
improvvisano in ciel una danza.

I genitori sorrisero e anche Marco approvò le rime.
Poi fu la mamma a riportare tutti alla realtà.
«Si è fatto tardi e per oggi abbiamo visto abbastanza. Torniamo a casa?»
«Sì!» rispose l’uomo «Sono sicuro che domani sarà un’altra bella giornata da trascorrere insieme.»


                               

      









Favola già pubblicata sul sito Scrivere

6 commenti:

  1. Uno splendido, e accattivante scenario della natura, in cui incontrare svariati esseri viventi, per saggiarne brevemente le caratteristiche, avendo, così, una visuale del variegato mondo animale...
    Brano molto gradito, e piaciuto.
    Buon mercoledì e un abbraccio, Vivì, silvia

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  2. Ma che bella questa favola bucolica.
    E quanto ci mancano le passeggiate nel bosco e gli animali.
    Grazie per questo viaggio con la fantasia.

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  3. Bellissimo e variegato racconto di avventura e conoscenza degli animali che, vivono nel bosco di una famigliola, che porta i figli a conoscere la magnificenza della natura e delle sue creature nel loro vivere quotidiano, esaltando la meraviglia dei bimbi e le loro magnifiche poesie. Molto interessante e molto avvincente la sua lettura. Bravissima e fantasiosa come sempre, cara Vivi. Un abbraccio da Grazia!

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  4. Hola Vivi! superbella historia; el bosque, los animalitos y tu talento exhalan la magia della tua immaginazione ♥

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  5. come me se chiama la ragazza: Carolina :D

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