Era primavera inoltrata quando la piccola
rondine, esausta per il lungo viaggio, avvistò i tetti della città che l’aveva
vista nascere e diventare adulta, per poi migrare alla fine di ogni estate,
verso lidi più caldi. Era così da quando era nata.
Le piaceva quella ridente cittadina di
mare, dal cielo quasi sempre limpido per via del vento di tramontana che
spazzava le nubi portandole distanti.
Sentiva che quello era il suo cielo, che
quello era il suo mare e ogni volta che doveva lasciare quei luoghi per intraprendere
il lungo viaggio della migrazione, lo faceva sempre con un briciolo di
malinconia. Al contrario, quando a inizio marzo tornava puntuale con il suo
stormo e avvistava da lontano i tetti spioventi della città, il suo piccolo
cuore si colmava di gioia.
Del resto, suscitavano allegria anche
negli esseri umani, che attendevano con trepidazione il ritorno delle rondini,
perché equivaleva all’arrivo della bella stagione.
La rondine amava fare il nido in uno dei
punti più alti e più suggestivi della città: il faro, che svettava su tutte le
altre costruzioni che si affacciavano sul porto e sul mare.
Purtroppo, quella primavera, durante il
viaggio di ritorno verso il suo nido, alla rondine accaddero un paio d’
imprevisti che ne ritardarono di molto l’arrivo in città.
Il suo arrivo non fu salutato come al
solito da un coro di garriti giocosi. Il cielo era insolitamente vuoto, grigio
e i pochi volatili che si vedevano volteggiare non erano vivaci e gioiosi, ma
talmente lenti da sembrare malati.
E in effetti, era proprio così. Una
temibile epidemia aveva decimato gli stormi durante il viaggio di ritorno e per
questo motivo, le poche rondini in volo, non potevano essere gioiose e vitali.
Il compagno della rondinella aveva atteso
il suo arrivo per un po’ di giorni, poi persa la speranza, aveva
nidificato con un’altra.
Al suo arrivo lei lo aveva cercato a lungo
ma, alla fine, si era dovuta rassegnare. Le sue amiche avevano già costruito i
loro nidi e alcune stavano già covando, in attesa dei piccoli e se lei voleva
accasarsi come le altre, doveva affrettarsi a trovare un nuovo compagno.
La ricerca durò più del previsto e stava
iniziando a perdere le speranze, quando infine incontrò un rondinotto
dall’aspetto esile e malconcio.
Avrebbe voluto rinunciare, ma poi vinse
l’istinto di conservazione della specie. Accettò la corte del vecchio
rondinotto e si mise di lena a preparare un nuovo nido, al riparo in una
feritoia della torre del faro.
Dalla loro unione nacquero sei rondinotti
gracili e deboli, tanto che solo uno tra loro sopravvisse, con grande
dispiacere di mamma rondine, che li vide morire a uno a uno.
Tutti tranne uno. Purtroppo, affetto da
una brutta malformazione alle ali e la madre, pur piangendo lacrime amare, si
vide costretta ad abbandonarlo nel nido.
Nel faro abitavano il guardiano e suo
figlio, Giangiò. Il ragazzo aveva assistito all’arrivo ritardatario della
rondine, con un pizzico d’apprensione, oltre che di contentezza.
Aveva sentito parlare della strage delle
rondini e l’arrivo di quella rondinella con il compagno, lo aveva reso felice.
Aveva assistito con discrezione alla preparazione del nido, alla cova e alla
nascita dei pulcini. Li aveva visti morire e con grande tristezza aveva anche
assistito all’abbandono del nido da parte della rondine.
In quei giorni, il faro si trovava
circondato dalle impalcature per la ristrutturazione e, il ragazzo,
all’insaputa del padre, si avventurò sulle assi traballanti di legno per
controllare da vicino quello che era accaduto nel nido.
Addossati gli uni agli altri tra i rametti
e la bambagia, vi erano sei pulcini, ma solo uno di questi dava deboli segnali
di vita.
Giangiò si sentì stringere il cuore in una
morsa; il pigolio seppur incessante, era appena percettibile. Il pulcino era
affamato e chiamava la madre con il piccolo becco spalancato.
Quel richiamo accorato lo commosse e
Giangiò decise che si sarebbe preso cura lui di quella minuscola creatura
indifesa.
Con la massima accortezza raccolse il
pulcino deponendolo nella tasca, quindi, arrampicandosi sull’impalcatura, si
apprestò al ritorno.
Nella sua stanza trovò la sua gatta ad
attenderlo. Shila le spalancò addosso i suoi incredibili occhi azzurri, lo
stesso di un’acquamarina. Sembrava che volesse rimproverarlo per quello che
aveva fatto e Giangiò, abituato a parlare con lei come se fosse una persona, le
disse:
«Abbiamo un piccolo ospite, amica mia.»
La gattina emise un verso che sembrava di
stizza.
«Non essere arrabbiata con me. Guarda cosa
ho trovato in quel nido.» le disse estraendo dalla tasca il pulcino. «La mamma
se ha abbandonato perché il piccolo ha una brutta malformazione, vedi?»
domandò, mostrando alla gatta il pulcino.
Giangiò possedeva un dono naturale con gli
animali, difatti, aveva già deciso che da grande avrebbe fatto il veterinario.
Con Shila aveva instaurato un’intesa perfetta.
La gattina, che lui aveva raccolto per
strada pochi giorni dopo la nascita sembrava raccogliere con grande attenzione
le sue confidenze, i suoi desideri e i suoi sogni.
E quante volte Giangiò aveva immaginato
delle risposte logiche a tutto quello che lui le raccontava. O le rispondeva
davvero? In tutti i modi, appena rimesso i piedi nella stanza, gli era venuto
spontaneo comunicare con la gattina.
Non si sorprese quindi quando la risposta
del felino gli fiorì nella mente:
Sei sempre il solito Giangiò! Ma sei
sicuro di avere fatto la cosa più giusta?
La gatta aveva assunto un atteggiamento da
sfinge e si dedicava alacremente alla pulizia delle zampette nerissime come il
resto del corpo, mentre lo osservava di sottecchi.
Senza nessuna esitazione il ragazzo
rispose:
«Il pulcino è stato abbandonato e se non
l’avessi raccolto, probabilmente entro stasera sarebbe morto.»
È troppo piccolo, non ce la può fare!
Questo pulcino, anche se sopravvivesse, non sarebbe mai in grado di volare. Sua
madre l’aveva intuito e per questo l’ha abbandonato. Hai fatto male a
raccoglierlo! Dovevi lasciare che la natura facesse il suo corso.
Il ragazzo scrutò il pulcino per qualche
istante e rifletté, quindi rispose:
«Voglio provarci! Quest’anno ne sono morte
troppe di queste creature. L’epidemia le ha sterminate. Può anche essere che
questo pulcino sia uno dei pochi esemplari rimasti della sua specie. Se non
tentassi di salvarlo, potrei anche non perdonarmelo. Sei con me Shila?»
La gattina smise di lisciarsi il pelo e lo
guardò con attenzione:
Lo sai che sono con te sempre, ragazzo!
«Non ne dubitavo! Grazie Shila!»
Da quel momento iniziò una dura battaglia
per la vita, e non fu certo un’impresa semplice per Giangiò andare a caccia
d’insetti e di larve. Eppure, il ragazzo si diede fare e non si lamentò mai per
il lavoro aggiuntivo al quale fu costretto per sfamare il neonato.
Approntò anche un nido imbottito di piume,
di erba e di bambagia in un angolo della sua stanza e da allora passò ogni
momento libero con il pulcino.
Ma il piccolo, già sofferente per gli
stenti patiti durante le prime ore di vita, faticava a riprendersi e continuava
a pigolare in modo ossessivo. Giangiò iniziava a disperare di poterlo salvare;
l’implume era talmente debole da non riuscire a reggersi sulle zampette e la
sola aluccia sana fremeva di un tremito incontrollabile. Era solo per istinto
che il beccuccio si spalancava ogni qualvolta riusciva a intravedere l’ombra
del ragazzo china su di lui.
Furono giorni tragici per entrambi, anzi,
lo furono anche per Shila che passava ore acciambellata di guardia vicino al
nido.
Quel primo terribile periodo terminò
e il piccolo iniziò a reagire alle assidue cure che Giangiò gli dedicava con
tutto il trasporto dettato dal suo giovane cuore.
E venne anche il giorno in cui poté tirare
un sospiro di sollievo:
Ce l’hai fatta, Giangiò! Il tuo coraggio e
la tua ostinazione hanno permesso che avvenisse questo piccolo miracolo. Sai,
non avrei scommesso nulla sulla vita di questo pulcino.
L’osservazione di Shila era balenata
nella mente di Giangiò mentre era chino a guardare le prime prove del
pulcino di tenersi ritto sulle zampette.
L’ennesimo, goffo tentativo strappò un
sorriso divertito dalle labbra del ragazzo dopo giorni di tensione e di ansia.
Hai già pensato a darle un nome, ragazzo?
Lui rivolse uno sguardo alla gatta, che
come al solito si stava lisciando meticolosamente il pelo:
«La vorrei chiamare Randi, che ne dici?»
Mi pare un nome appropriato!
Da quel giorno, in pochissimo tempo il
pulcino triplicò il suo peso diventando sempre più fermo e sicuro nei
movimenti.
Nel frattempo, purtroppo, le notizie
riportate dai quotidiani a caratteri cubitali, parlavano dello sterminio della
specie volatile, a causa dell’epidemia.
Per le strade si vedeva la gente camminare
con lo sguardo afflitto rivolto verso l’alto. Che squallore! E che
desolazione quel cielo privo di voli giocosi e di garriti. La primavera stessa
dava l’impressione di non essere più la stagione del rinnovamento e della
rifioritura: gli alberi che avrebbero dovuto essere un’esplosione di colori
erano insolitamente spogli, le aiuole dei giardini, che in genere in quel
periodo sfoggiavano colori sgargianti e profumi intensi, erano incolori e
l’erba dei prati era talmente gialla, da sembrare sofferente.
Da oriente a occidente, in tutto il
pianeta, il passaparola era drammatico: senza rondini non poteva essere
primavera.
Allarmati dalle tragiche notizie, Shila e
Giangiò guardavano speranzosi alla giovane rondinella. In lei iniziarono a
vedere la salvezza, non solo per la sua specie ma per il pianeta intero e se
possibile, misero ancor più accortezza nell’accudire la bestiola.
Un giorno, all’ultimo piano del faro, si
verificò un evento che segnò in modo significativo il tranquillo trantran delle
tre creature.
Giangiò si trovava all’apice del
faro, dove con il padre, stava effettuando lavori di manutenzione dell’apparato
illuminante, dal quale partiva il fascio enorme di luce, capace di squarciare
l’oscurità del mare, per parecchi chilometri.
Avevano quasi finito il loro intervento,
quando il silenzio maestoso di cui si godeva a quella ragguardevole altezza,
venne rotto da rumori improvvisi e preoccupanti.
Il ragazzo, si precipitò al piano
inferiore a rotta di collo, giusto in tempo per cogliere movimenti repentini
sul pavimento della sua stanza.
Si rese conto che si trattava del fuggi
fuggi generale dei grossi ratti ospiti da tempo dell’antico edificio.
Oppresso da un oscuro presentimento,
Giangiò si avviò verso il nido e il suo cuore ebbe un tuffo violento nel petto:
Randi, la sua piccola Randi era sparita.
Gli occhi gli si velarono di lacrime, i
topi si erano portati via il pulcino indifeso. Poi, il suo sguardo nella
penombra, incrociò gli occhi fosforescenti del gatto accovacciato nei pressi
del nido.
Il felino lo stava osservando, con la coda
che roteava pigramente per aria.
Giangiò provò un brivido di orrore: dalle
vibrisse del gatto pendevano alcune morbide piume.
Un’idea terrificante si fece strada nella
sua mente, mentre il suo cuore rifiutava quell’orribile possibilità. Purtroppo,
l’evidenza era sotto i suoi occhi e dalla sua bocca fuoriuscirono poche parole:
«Oh no! Come hai potuto?»
Poi ripreso fiato ripeté con voce rotta
dai singhiozzi: «Come hai potuto Shila? Io mi fidavo di te e anche la piccola
Randi. Sei un mostro!» terminò, urlando con tutto il fiato che aveva in gola,
sconvolto dalla rabbia e dal dolore.
Quindi volse le spalle al gatto e fece per
lasciare precipitosamente la stanza, quando la sua attenzione venne attirata da
un sommesso pigolio.
Tornò indietro verso il felino che
spalancò la bocca, sporgendo la sua linguetta rosea. Su di essa, accovacciata
sulle zampette, come fosse stata sul nido, si trovava la piccola rondinella,
incolume.
Shila aveva salvato il pulcino
dall’assalto famelico dei topi. Giangiò allungò le mani a coppa e Randi con un
piccolo balzo, vi si accovacciò.
Il pensiero di avere ingiustamente
dubitato della sua amica, lo fece vergognare, per cui abbassò la testa in modo
umile e sussurrò:
«Ho sbagliato a dubitare di te. Perdonami
Shila!»
Va bene, ragazzo! Non ne parliamo più. Ma ricorda sempre: sono affezionata a questo
pulcino almeno quanto lo sei tu!
Con quell’evento il legame tra i tre
si consolidò ancor di più e, comunque, considerato il pericolo appena corso dal
piccolo, Giangiò decise che era venuto il momento di affidare la rondine a una
famiglia adottiva. E cosa c’era di meglio se non tentare di mettere il pulcino
nella gabbia dei canarini?
Il padre del ragazzo aveva una passione
per i piccoli cantori e ne teneva una ventina in un’enorme gabbia, dove lo
spazio per muoversi e saltellare da una parte all’ altra, era davvero tanto
rispetto a una gabbietta tradizionale. Perlomeno, pensò il ragazzo, il pulcino
sarebbe stato al sicuro rinchiuso là dentro e, inoltre, forse gli altri
volatili avrebbero potuto fornire degli ottimi stimoli al piccolo.
Nonostante quella fosse una sistemazione
provvisoria, Giangiò capì che non era affatto la soluzione giusta per la
rondine. Fu allora che l’idea di aiutare in un altro modo il pulcino, cominciò
a farsi largo nei suoi pensieri. Con la fantasia lo vedeva volare nel cielo
limpido di primavera. Ma come avrebbe potuto realizzarsi quel sogno se il
pulcino aveva solo un’ala?
Iniziò a studiare attentamente il volo dei
gabbiani, così come osservava la piccola ala sana della rondine e il moncherino
di quella malformata.
Al ragazzo vennero in mente gli studi
condotti dal grande genio del passato Leonardo da Vinci. Lo studioso aveva
lasciato molti disegni dei suoi progetti a proposito del volo e delle ali degli
uccelli e Giangiò iniziò a frequentare la biblioteca per poterli studiare.
Tuttavia, il progetto era talmente complicato,
quanto troppo macchinoso da poter sperare di realizzarlo senza l’aiuto di una
persona esperta. Infine, demoralizzato dagli innumerevoli tentativi andati a
vuoto, iniziò a vagliare l’ipotesi di chiedere aiuto.
Stava giusto pensando a chi rivolgersi, quando
suo padre affrontò il discorso della rondine:
«Cos’hai intenzione di fare con quel
pulcino?»
«Vorrei cercare di aiutarlo in qualche
modo, papà» rispose in tono sereno Giangiò.
«In quelle condizioni non ha nessuna
probabilità di riuscire a sopravvivere. Bisogna che tu accetti la realtà.»
ribatté l’uomo deciso.
Il ragazzo rispose con orgoglio:
«Scusa papà, ma uno dei principi che ho
imparato da te è il rispetto per la vita, che è sacra e bisogna salvaguardare
in ogni sua forma. E io lo farò, perché forse Randi è uno degli ultimi
esemplari della sua specie e tenterò il tutto per tutto per salvare questa
piccola vita.»
L’impeto con il quale il giovane aveva
espresso la sua convinzione, riempì d’orgoglio il padre, strappandogli anche un
lieve sorriso di compiacimento. Lo aveva cresciuto da solo, poiché la
madre era morta quando aveva pochi anni. In quel momento si compiacque con sé
stesso per i risultati ottenuti. Ma deciso continuò scrollando la testa:
«Non posso lasciare che tu t’illuda
inutilmente. Ti ripeto che non ci sono speranze per quel pulcino.»
«Papà, ti prego ascolta! Mi hai insegnato
anche a non arrendermi davanti alle difficoltà e a combattere per portare avanti
le mie ragioni e i miei sogni. Non mi darei pace se non tentassi di salvare
quella creatura che il destino ha voluto mettere sulla mia strada.»
Il padre sospirò volgendosi a osservare il
pulcino rannicchiato quietamente in un angolo della gabbia. In quel momento il
piccolo aprì il becco emettendo un suono che tanto ricordava un tentativo di
canto canarino.
Sia l’uomo che il ragazzo si avvicinarono
alla gabbia e la piccola rondine fece sentire un’altra volta la sua voce.
«È incredibile! Sembra il verso di un
canarino!» esclamò il giovane confuso.
«Certo che lo è! Ma non è stata la tua
rondine, bensì uno dei piccoli nati da poco.» rispose l’uomo più realista. «E
comunque dimmi, cosa hai in mente di fare?»
«Ho bisogno di aiuto papà. Da solo non
posso farcela. Ho pensato di attaccare un’ala artificiale al moncherino.»
«Cosa? Non ti rendi nemmeno conto di
quanto sia assurda la tua idea? Non potrà mai funzionare!»
«Può darsi che sia assurda, anzi, molto
probabilmente lo è, ma non per questo mi arrenderò. Non senza aver tentato! Per
questo mi occorre l’aiuto di un esperto, papà!» concluse con occhi resi lucidi
dall’ emozione.
Il padre sospirò rassegnato, quel suo
ragazzo aveva dimostrato un’ostinazione senza pari, ma in cuor suo si
rallegrava; era venuto su bene quel figliolo, con i sani principi inculcati da
lui.
«Dai, forza! Non ti far cavare le parole
dalla bocca! Dimmi che tipo di esperto?»
«Uno scienziato che conosce gli uccelli,
un ornitologo.»
«E certo! Se ne trovano con facilità a
ogni angolo di strada.» l’esclamazione era sarcastica, ma la mente dell’uomo
era già proiettata alla ricerca di una soluzione.
Non dovette pensarci molto; ricordava che
tra i suoi amici d’infanzia vi erano alcuni che si erano laureati. Chiese loro
consiglio e dopo appena un paio di giorni, al faro arrivò un gruppo di
esperti, tra cui un veterinario, un ornitologo e un progettista.
Il medico visitò con mano esperta e in
modo accurato la giovane rondine, quindi dopo essersi consultato con gli altri
due, parlò con tono grave al ragazzo che attendeva con il fiato sospeso.
«Se devo essere sincero con te, non credo
proprio che il tuo progetto sia realizzabile. Cioè, mi spiego meglio: l’idea di
un’ala posticcia di per sé, non è difficile da realizzare, quello che è
assurdo, secondo me, è pensare che la rondine riesca a volare.»
«Innanzitutto, bisognerebbe allertare la
protezione animali. Che io sappia questo è uno dei pochi esemplari di rondini
rimasto sul nostro territorio, quindi, una volta ottenuto il loro benestare, si
potrebbe pensare seriamente al da farsi.»
«La situazione è drammatica in tutto il
mondo.» continuò «Credo che se facessimo pubblicare la notizia sui maggiori
quotidiani potrebbe avere una risonanza internazionale. E questo potrebbe
tornare a nostro favore.»
«Io credo invece che sia tutto inutile. La
natura è stata crudele con quest’uccello e noi non possiamo forzare la mano.
Dobbiamo lasciare la rondine al suo destino.» esclamò in tono scettico il
veterinario.
«Non sono d’accordo!» affermò un po’
sdegnato l’ornitologo. «Il fatto che questa creatura sia ancora viva, è di
per sé un evento straordinario. Secondo me è un segno inviatoci dalla
Provvidenza! Evidentemente con questa rondine ci viene offerta un’altra
possibilità e noi non possiamo ignorarla.» terminò con fervore.
Per più di un’ora la discussione proseguì
su toni accesi, mentre Giangiò accudiva il pulcino e la grande gabbia che era
diventata il suo nido. Poi i toni si smorzarono e il gruppetto arrivò a una
decisione.
«Va bene ragazzo! Ti prometto che insieme
ai miei colleghi, studierò attentamente le ali di questa specie e le
caratteristiche del loro volo. Poi insieme al progettista, mi darò da fare
cercando di realizzare un’ala artificiale. Ma non ti possiamo rassicurare sul
risultato.»
«Grazie» rispose in tono commosso il giovane.
«Tutto ciò, mi basta!»
Iniziò un lungo periodo di progettazione e
di esperimenti. Il disegnatore seguì gli esempi e i disegni del grande genio
italiano e riuscì a ricostruire, con materiale ultraleggero, l’intelaiatura di
un’ala perfettamente somigliante a quella di una rondine. Mentre il ragazzo
venne coinvolto nel progetto, mandandolo alla ricerca di piume e di penne.
Giangiò in quel periodo passò gran parte
del suo tempo libero nei parchi comunali e nei boschi vicini alla città. Riuscì
a fare un buon raccolto e portò il suo bottino sul tavolo del progettista.
«Dove ti sei procurato tutte queste piume
e penne? E cosa ti è successo alle mani?» chiese l’uomo lanciando uno sguardo
preoccupato alle mani ferite del ragazzo.
«I cigni che abitano il laghetto del
parco, sono animali molto generosi. I loro nidi sono pieni di piume, così come
sono generosi i gabbiani del porto e i colombi che vivono in città.» rispose
con un sorriso il giovane, quindi aggiunse un po’ tentennante: «E dove non
arrivava la generosità del volatile, un piccolo strappo e…»
«E ti rifilavano una bella beccata…
ahahaha ragazzo. Sei stato veramente in gamba. Complimenti! Abbiamo tanto
materiale da poter ricostruire una decina di ali. Ma ora lasciaci lavorare.»
terminò l’uomo tra le risate generali.
I due esperti si diedero da fare, mentre
Giangiò, con un modellino d’ala appena accennato, faceva esercitare la rondine,
istigando la muscolatura del moncherino al movimento e quindi a rinforzarla.
Giangiò scendeva sulla scogliera ai piedi
del faro e si sedeva ad ammirare quel mare turchese e quel cielo limpido che
tanto amava, con la rondine accovacciata tra le sue braccia.
Il vento quel giorno spirava in modo
dolce, carezzando i suoi capelli ricciuti e il piumaggio soffice di Randi. La
rondine era cresciuta molto e si era abituata bene alla protesi, che si
modellava alla perfezione al corpo e al moncherino dell’ala.
Non era ancora l’arto definitivo, ma
un’intelaiatura non ancora rifinita, costruita apposta per abituarla
gradatamente all’ingombro e al fastidio di quell’oggetto sconosciuto.
In quel momento Randi emise uno dei versi
che aveva imparato nella gabbia dei canarini a imitazione del loro canto.
Giangiò non finiva mai di stupirsi, ma d’altronde, pensava, la sua era una
rondine prodigiosa.
A un tratto s’accorse che Randi
seguiva con attenzione il volo dei gabbiani che planavano sostenuti dal vento,
o si gettavano in picchiata tra le onde.
La rondine per un po’ se ne stette
tranquilla tra le mani del ragazzo, poi sembrò fosse presa da una smania
incontrollabile, tanto che lui fu costretto a lasciarla.
Come presa da una frenesia, la rondinella
cominciò a sbattere in modo convulso le ali, quella sana si muoveva
ritmicamente, mentre quella posticcia faticava un po’.
«Brava piccola! Così! Vedrai che imparerai
a volare! Continua così!» la incitava con il cuore colmo di entusiasmo.
Ce la farà! Vedrai, riuscirà a volare!
La voce gli era risuonata nella mente con
il solito tono pacato.
Giangiò si volse e vide la gattina che li
stava osservando. Lei socchiuse gli occhi incredibilmente azzurri, mentre
ripeteva:
Ce la farà! Non aver timore!
In quel mentre, lo stridio dei gabbiani si
fece più forte e più vicino. Il ragazzo si volse giusto in tempo per vedere che
uno dei voraci volatili si era buttato in picchiata sulla scogliera, proprio
sul punto dove si trovavano loro e, intuendo cosa stesse per accadere, si
catapultò in difesa della rondine.
I gabbiani erano nemici naturali delle
rondini, essendo i loro predatori.
Giangiò afferrò Randi mentre lei ignara
del pericolo, scuoteva le ali saltellando in modo goffo. Se la strinse al
petto, mentre ancora una volta il pensiero di Shila gli rimbalzò nella mente:
Non c’è alcun pericolo, credimi! La nostra
Randi è al sicuro.
«Come fai a dirlo? Non lo sai che i gabbiani
mangiano le rondini?»
Te lo ripeto ragazzo: non c’è nessun
pericolo per la nostra piccola amica. Quegli uccelli sono perfettamente
consapevoli che questa rondine potrebbe essere una delle ultime della sua
specie. I cieli sono ormai privi dei loro voli giocosi e questi predatori se ne
sono accorti. La vita di questa rondinella è sacra per loro, quanto lo è per
noi, perché se morisse, sarebbe la fine anche per loro. La nostra Randi è al
sicuro, fidati.
Giangiò aveva ascoltato sempre più
stupito; il suo sguardo corse nervosamente al folto gruppo di gabbiani che si
era radunato e volteggiava su di loro. Gli fecero l’impressione di volare in
circolo come uno stormo di condor in attesa della vittima. Esitò ancora
indeciso, non voleva lasciare Randi in loro balia.
Lasciala ragazzo! L’ordine era stato deciso e questa volta lui
obbedì.
Ora spostati, e osserva mentre la natura
cerca di rimediare all’errore commesso con questa rondinella.
Lo sguardo interrogativo di lui si perse;
la sua attenzione venne attirata dal gabbiano che si era posato molto vicino
alla rondine e la stava osservando attentamente.
Il volatile lanciò il suo richiamo
allargando le ali in modo lento, Randi rispose con un verso che sembrava un
pigolio. Il gabbiano iniziò una sorta di balletto sulle zampe, protendendo il
corpo e allargando le ali.
Giangiò non capiva.
«Che sta facendo?» chiese sconcertato da
quell’ atteggiamento.
Non capisci? Il gatto fece una pausa, poi con aria sorniona
proseguì: La piccola Randi sta seguendo la sua prima lezione di volo!
Il ragazzo si commosse come non gli era
mai successo nella sua vita.
Dopo di allora, furono giorni intensi e
sereni. Il gabbiano impartiva lezioni sistematiche, con la precisione di un
professore in cattedra e Randi, seguendo gli insegnamenti, fece progressi
impensabili solo poco tempo prima. La muscolatura del moncherino si rafforzò e
i movimenti dell’ala artificiale, quella definitiva che nel frattempo gli
era stata applicata, si sincronizzarono alla perfezione con quella naturale.
E venne infine il giorno che la rondine,
seguendo l’esempio del suo maestro, spiccò il suo primo volo incerto, sotto lo
sguardo attento e preoccupato di Giangiò, del padre di lui e del trio di
esperti. Randi riuscì a librarsi sulle onde del mare, seguita dal grido
entusiastico degli uomini.
Fu un momento veramente emozionante per il
ragazzo, che seguì i primi goffi tentativi della giovane amica, con il fiato
sospeso. A osservare quel primo volo, oltre lo stormo di gabbiani, numerose
ochette del mare e germani reali.
Dopo vari tentennamenti e manovre un po’
troppo ardite, le ali della rondine acquisirono sempre più scioltezza, tanto
che dopo pochi minuti, Randi aveva una padronanza del volo assoluta.
Guidata un po’ dall’innato istinto, e un
po’ dagli altri volatili, si lasciò prendere dalla corrente ascensionale e planò
nel cielo seguita dagli applausi scroscianti, come una vera reginetta ammirata
da una piccola folla entusiasta.
Ma il destino era ancora in agguato,
quando ormai Giangiò e gli altri stavano per tirare un sospiro di sollievo, il
volo della rondine cominciò a diventare scoordinato e inefficace. Dal basso gli
spettatori videro chiaramente la protesi cedere, cosicché l’ala artificiale si
staccò dal moncherino.
Il corpo della piccola rondine precipitò a
peso morto nelle onde, fino ad affondare, sotto gli occhi atterriti di Giangiò,
mentre un senso di amara impotenza e di sconfitta assaliva gli uomini presenti.
Ma non ci fu il tempo per recriminare, né
di piangere, perché nello stesso momento accadde un fatto curioso: una delle
ochette che aveva assistito alla scena, agì più lesta di tutti, e si tuffò tra
i flutti, nello stesso punto dove era scomparso il corpo della rondine.
Giangiò era rimasto inebetito, non aveva
voce per piangere o lamentarsi. Rimase a guardare le onde che avevano
inghiottito il corpo della sua piccola amica; gli uomini stavano per rientrare
ancora troppo sconvolti per poter discutere l’accaduto, mentre il padre del
ragazzo, guardava impotente il dolore del suo figliolo. All’improvviso vide il
volto del ragazzo illuminarsi, mentre con la voce un po’ rotta dall’ emozione
esclamava:
«Guarda papà!» L’uomo si volse verso il
punto indicatogli e quello che vide gli parve incredibile: dal becco
dell’ochetta, pendeva il corpo della rondine.
L’ochetta aveva riportato Randi in
superficie! Quindi, con pochi battiti d’ali, l’uccello tornò sulla scogliera e
depose la piccola rondine un po’ frastornata dalla caduta, ma incolume, ai
piedi del ragazzo. Giangiò se la strinse al petto commosso.
Dopo quei terribili momenti, gli uomini si
diedero da fare per ricostruire una nuova protesi, più efficiente, ma soprattutto
più sicura. La notizia di quel primo volo si propagò per tutto il mondo, e i
migliori scienziati del pianeta offrirono la loro conoscenza, e la migliore
tecnologia, mettendole al servizio del trio di scienziati.
In poco tempo venne costruito un nuovo arto e quando infine Randi si librò con l’ala nuova di zecca, andò tutto liscio come l’olio. Ma ormai si era a fine estate, era giunta l’ora, per le poche rondini rimaste, d’iniziare la migrazione verso lidi più caldi.
Gli uomini riuscirono a contare poche
decine di esemplari della specie, ma con Randi era nata una nuova speranza e
forse col tempo i cieli primaverili di tutto il mondo si sarebbero allietati di
garriti e voli giocosi.
Quel giorno Giangiò scese sulla scogliera
per salutare la sua piccola amica, chiedendosi se l’avrebbe mai più rivista.
A salutarla una piccola folla di persone
entusiaste.
«Evviva Randi!» fu il grido unanime
«Evviva l’ancella della primavera!»
«Torna mia piccola amica. Io sarò qui ad
aspettarti» riuscì a sussurrare tra le lacrime Giangiò.
Tornerà! Gli comunicò la gattina al suo fianco.
La rondine fece alcuni giri sulla scogliera
con lo sguardo rivolto sul ragazzo, poi con un battito deciso d’ali si
allontanò.
Randi tornò la primavera successiva, e
anche per tanti anni dopo, seguita da un compagno e con lui quella stagione,
mise su famiglia per ben due volte in una piccola buca situata lungo una parete
del faro a strapiombo sul mare.
Fiaba di Vivì pubblicata sul sito Scrivere dal 22/04/2012
Sempre tantissima fantasia, e creatività, nei tuoi bellissimi racconti, che hanno come sfondo la natura.
RispondiEliminaUn abbraccio, carissima Vivì,silvia
Anche questa favola è incantevole, insegna ai bimbi la solidarietà l'aiuto verso coloro che sono più deboli. Mi è molto piaciuta la storia della rondinella che, alla fine e, con l'aiuto di coloro che le volevano bene è riuscita a volare, anche se, con un'ala posticcia. Dolcissima e colma di fantasia, Bravissima Vivi. Un caro saluto da Grazia!
RispondiEliminaCiao.
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