Beatrice sgranò i suoi occhi azzurri, rivolgendoli verso il viso
rugoso della nonna.
L’anziana sorrise e, con un lembo del candido grembiule, pulì la
bocca della nipotina imbrattata di cioccolata.
La bambina era rimasta orfana e viveva con lei da alcuni anni.
«Non preferisci che te la racconti con calma dopo che avremo
messo la torta in forno?» le domandò.
«Forse è meglio che la mettiamo subito in forno!» rispose la
ragazzina con un sorriso malizioso.
Quando la tortiera fu sistemata, la nonna, con la bimba in
braccio, si sistemò davanti al caminetto acceso e prese a dondolare sulla
comoda poltrona.
«Ti racconto la favola del principe smarrito.»
Beatrice si accoccolò sul petto della donna e si lasciò cullare
dal suono della sua voce e dal calore ipnotico delle fiamme.
«C’era una volta una giovane donna che si chiamava Laura…»
«Proprio come te, nonnina» la interruppe Bea.
«Già, proprio come me!» ammise lei. « Ma lascia che continui.»
«Laura aveva circa sedici anni e lavorava in un grande negozio di
giocattoli. Ebbene, un giorno, mentre stava sistemando uno scaffale stracolmo
di giochi, si accorse che davanti alla vetrina che dava sulla strada c’ era un
bambino col nasetto livido dal freddo appiccicato al vetro. Erano i giorni che
precedevano il Natale e la temperatura esterna arrivava anche sottozero. L’
abbigliamento del piccolo era sporco e lacero, del tutto inadeguato al gelo e
Laura pensò che fosse un mendicante. Uno dei tanti vagabondi che s’
incontravano per le vie del paese e il cuore le si strinse in una morsa
dolorosa. In quel momento si accorse anche che lo sguardo del bimbo era incollato su un soldatino, che con scatti meccanici marciava e presentava le armi. Laura
invitò il piccolo a entrare, ma lui si volse e fuggì. Inutilmente lei corse in strada, il
ragazzino era già scomparso.
La giovane commessa se ne rammaricò ma, non potendo fare altro, relegò il ricordo di quel visetto smunto nel cuore.
I giorni passarono e mancava pochissimo alla vigilia, il negozio
si riempì di persone che volevano acquistare i doni da mettere sotto l’ albero
per i loro bambini. Laura non aveva nemmeno il tempo di riposarsi, tanto era
indaffarata. Eppure, un paio di volte notò di sfuggita il nasetto livido del
bimbo appiccicato alla lastra trasparente e con lo sguardo puntato sul
soldatino.
Ormai si era arrivati alla vigilia e il negozio era rimasto semi-
vuoto, i giocattoli erano andati a ruba.
Laura, che era l’ unica tra le commesse a non avere famiglia, si
offrì di rimanere per rimettere un po’ di ordine al caos provocato dalle
vendite. Così si ritrovò oltre l’ orario di chiusura a riordinare le poche
cose rimaste. Mentre riponeva sullo scaffale il soldatino meccanico, che
nessuno aveva comprato, il gioco si mise in moto percorrendo tutta la
lunghezza dello scaffale. Fu così che lei si accorse del bimbo oltre la
vetrina.
La ragazza sorrise e per non spaventarlo si avvicinò lentamente poggiando la sua mano aperta sul vetro trasparente, con la
speranza che lui facesse altrettanto.
E, con sua grande meraviglia, il bambino compì lo stesso gesto.
Il piccolo vagabondo sovrappose la manina alla sua e per lei, in
quel momento, fu come ricevere una scossa.
Il visetto del monello le parve ancora più smunto dell’ ultima
volta, chissà da quando non mangiava!
Il cuore della giovane si strinse ancora una volta e dalla sua
borsa estrasse il panino che non era riuscita a mangiare, offrendolo con garbo
e con un sorriso.
Spinto dalla fame, il bimbo si fece coraggio e si presentò alla porta del negozio per prendere il panino, che divorò in un minuto, con grande stupore della giovane commessa.
«Io mi chiamo Laura e tu?» gli domandò con dolcezza
« Non lo so!» rispose lui, come fosse normale non ricordare il proprio nome.
«Come non lo sai?» insistette Laura abbassandosi all’ altezza di
quel visetto triste.
Il piccolo deglutì con forza ricacciando indietro le lacrime e
assumendo una posa sin troppo spavalda, disse: « Non lo ricordo. Non so chi
sono e nemmeno da dove vengo.»
«Ma non hai nessuno che si occupi di te?» domandò ancora lei,
scrutandolo con attenzione. Doveva avere circa otto anni e il suo abbigliamento
consisteva in una giacca pesante troppo striminzita, un maglione bucato e dei
pantaloni lisi, troppo grandi per quel corpicino esile.
Evidentemente la domanda sulla famiglia lo aveva toccato nel
profondo, perché in quel momento il piccolo vagabondo scoppiò a piangere.
Laura, a quel punto, decise di non ossessionarlo con la sua voglia di sapere e,
in quello stesso istante, le venne un’ idea.
«Senti, anche io sono sola come te. Sono orfana, sai? E il
pensiero di passare il Natale da sola mi rende molto triste. Ti propongo un
piano: vieni a vivere con me in questi giorni di festa, così domani ci mettiamo
a preparare insieme il pranzo di Natale! Che ne dici?»
Lui sgranò i suoi occhioni verdi, più smeraldini di un lago
montano: «Ma tu sei una fata?» le domandò con aria innocente. Laura rimase un
attimo interdetta, poi rise. Rise come non le succedeva da tempo e la sua
risata finì per contagiare anche il piccolo monello.
Poco più tardi, avvolto il ragazzino nella sua sciarpona di lana,
si incamminarono entrambi per le strade semi- deserte, mentre cadevano i primi,
grandi fiocchi di neve.
Una volta giunti a casa, Laura lo fece lavare e gli prestò una
delle sue tute di pile per tenerlo al caldo, per poi farlo rifocillare.
Il bimbo divorò tutto quello che gli mise davanti, poi si
addormentò subito e lei ne approfittò per mettersi al computer a fare delle
ricerche.
“Magari in internet trovo qualche segnalazione di scomparsa” si
disse, digitando sulla tastiera. In pochi secondi sullo schermo comparvero i
volti di bambini scomparsi.
Le immagini erano decine e Laura iniziò a scorrerle con
attenzione, poi all’improvviso gli apparve il viso del monello, che in quel
momento dormiva profondamente nel suo letto.
In quella posa era sorridente, pulito e pettinato alla perfezione.
I vestiti erano moderni e all’ apparenza costosi. Laura esultò: «Marco Traldi
Della Valle Fiorita. Caspita! Che nome importante che porti, ragazzino» esclamò
felice, cercando un numero da poter contattare.
Quando l’ indomani mattina Marco si svegliò, trovò un albero
gigante addobbato nel salotto, con una vera montagna di pacchi regalo intorno e
una colazione principesca ad attenderlo sul tavolo della cucina. Il profumo
delle brioches ancora bollenti, unito al calore che emanavano le pareti di
quella casa, lo fecero emozionare.
«Buongiorno, mia bella fatina!» la salutò e lei sorrise,
ricambiando: « Buongiorno, principino!».
Il monello rise divertito e divorò le brioches sporcandosi la
bocca di cioccolato.
«Proprio come me, nonnina!» esclamò Beatrice, ridendo e
interrompendo il racconto della nonna.
«Il cioccolato piace a tutti, grandi e piccini» disse la donna.
«Io l’adoro! Ma continua, nonnina, ti prego! È una storia così
tanto interessante!»
«D’ accordo! Ma tu smettila d’ interrompermi. Sai che se perdo il
filo… dunque: Marco non sospettava che quel giorno la sua vita sarebbe di nuovo
cambiata e finita la colazione aiutò Laura in cucina.
«Ho invitato delle persone» rispose lei semplicemente.
«Credevo fossimo soli, io e te, fatina. Allora tutti quei regali
che sono sotto l’albero sono per i tuoi ospiti?»
«Sì, è così!» rispose lei nascondendo un mezzo sorriso.
A mezzogiorno in punto suonarono alla porta e Laura lo invitò a
seguirla per accogliere gli ospiti.
Sull’ uscio vi erano due sconosciuti, un uomo e una donna, belli e
dalle vesti eleganti. In particolare, la giovane signora, che si abbassò a
salutarlo, era bellissima ed evidentemente commossa.
«Ti posso abbracciare, piccolo?» chiese con voce tremante.
Marco indietreggiò, intimidito.
«È solo per augurarti Buon Natale!» lo incoraggiò la sconosciuta e
lui si convinse. Si lasciò stringere in un abbraccio caldo e niente affatto
sgradevole, come invece aveva temuto. Al contrario, il profumo che emanava la
pelle della signora lo fece sobbalzare.
«Marco!» mormorò la signora, sentendolo tremare. «Piccolo mio,
ti ho ritrovato finalmente!»
Il ragazzino si lasciò cullare in quell’abbraccio, ma poi si
sciolse e guardò entrambi gli sconosciuti.
«Cosa… significa?» balbettò confuso.
Allora l’ uomo lo prese per mano e lo guidò sul divano, facendolo
sedere sulle sue ginocchia. Poi, con tenerezza gli spiegò: «Marco, io sono il
tuo papà e lei è la tua mamma.»
Il piccolo sgranò gli occhi, incapace di parlare.
Il padre gli accarezzò la lunga zazzera nera e continuò: « Un
giorno ci siamo recati tutti e tre a una festa patronale dove c’ era una folla
immensa. È stato proprio a causa della grande confusione che ti abbiamo perso
di vista e non siamo più riusciti a trovarti. Io e la mamma eravamo disperati
perché credevamo di averti perso per sempre.»
Marco guardò Laura in cerca di conforto e di conferme e trovò il
suo sorriso.
«Ora che hai ritrovato i tuoi genitori, tutto si aggiusterà,
principino.»
«Continui a chiamarmi principino, perché?»
«Tu sei il figlio del Duca e della Duchessa Traldi Della Valle
Fiorita, Marco! Ma per me sarai sempre e soltanto il mio principe vagabondo!»
Marco si sciolse dalla stretta affettuosa del padre e della madre,
correndo tra le braccia di Laura.
« E tu per me sarai sempre la mia fatina!» rispose, finalmente
ridendo.
Quello fu un Natale speciale sia per Laura che per Marco, il cui
regalo preferito fu il soldatino meccanico.
Nel terminare il racconto, la voce della nonna s’ incrinò dalla
emozione.
«Questa è la storia più bella che tu mi abbia mai raccontato,
nonnina!»
« Vero, principessa! È di sicuro la più bella!»
All'improvviso alla bimba venne un dubbio: « Nonnina, ma non mi
avevi detto che anche tu da giovane lavoravi in un negozio di giocattoli?»
La donna sorrise: « Hai un’ ottima memoria, piccina» rispose,
accarezzandole la testolina.
Beatrice sgranò gli occhi azzurri esclamando: «In questo racconto
ci sono troppe cose simili!»
« Anche questo è vero, principessa!»
In quel momento Bea ebbe un’ intuizione: « Non è solo una favola, ma la
storia della nostra famiglia, vero fatina?»
L’anziana annuì: « Quel giorno di Natale accadde un piccolo
miracolo: un bimbo ritrovò i suoi genitori e una giovane orfana fu adottata con
amore!»
Bea sorrise e batté le mani contenta: « Allora io e te siamo due
principesse!»
«Sì, cara. Siamo due principesse!»
«No, nonna, ti sbagli! Tu sei la mia dolce fatina!» esclamò la
bimba, abbracciandola stretta.
Gli occhi di Laura si velarono di lacrime, poi con dolcezza
riprese a dondolare.
Favola di Vivì Coppola pubblicata in una antologia natalizia da Apollo edizioni
Un bellissimo finale in quest'animata favola, scritta con tanta fantasia.
RispondiEliminaSempre bello leggerti, sereno giorno, carisssima, viv',silvia
Una favola commovente da cui si evince che, spesso, i miracoli esistono, ma anche la bontà di chi vede un bimbo smarrito e decide di prendersene cura fino a ricercarne i genitori. Tutto bellissimo e d'atmosfera: il Natale, l'albero, i doni e, alfine, l'incontro dei genitori con il figlio. Bellissima e ben strutturato racconto, si legge volentieri con il desiderio di arrivare fino alla fine. Complimenti Vivì, sei bravissima! Un affettuoso saluto da Grazia.
RispondiEliminaBella anche questa, faccio copia e incolla e la mando a mio nipote, lui adore le favole.
RispondiEliminaBuon fine settimana.
Ciao Gianfranco. A me fa un enorme piacere che tu a invii a tuo nipote, mi raccomando però di non dimenticare di mettere anche il mio nome come autrice. Grazie per il commento e spero a presto con un'altra favola o filastrocca.
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